Mercoledì 11 giugno 2025. Come interpretare i miracoli che leggiamo nel Vangelo? Cristo scende fino agli “inferi” per ridare all’uomo, accecato dal peccato, la possibilità di vedere di nuovo
di Michele Brambilla
Papa Leone XIV dedica l’udienza dell’11 giugno ad «un altro aspetto essenziale della vita di Gesù, cioè sulle sue guarigioni. Per questo vi invito a mettere davanti al Cuore di Cristo le vostre parti più doloranti o fragili, quei luoghi della vostra vita dove vi sentite fermi e bloccati».
«Il personaggio che ci accompagna in questa riflessione» è Bartimeo, il cieco guarito da Gesù in Mc 10,40-52. «Il luogo è significativo: Gesù sta andando a Gerusalemme, ma inizia il suo viaggio, per così dire, dagli “inferi” di Gerico, città che sta sotto il livello del mare», anticipo “geografico” della sepoltura del Signore. «Gesù, infatti, con la sua morte, è andato a riprendere quell’Adamo che è caduto in basso e che rappresenta ognuno di noi» nelle nostre fragilità e nelle nostre solitudini. Volendo, infatti, considerare la stessa etimologia del nome “Bartimeo”, scopriamo che «Bartimeo significa “figlio di Timeo”: descrive quell’uomo attraverso una relazione, eppure lui è drammaticamente solo. Questo nome, però, potrebbe anche significare “figlio dell’onore” o “dell’ammirazione”, esattamente al contrario della situazione in cui si trova»: è quindi un uomo che vive un profondo disagio relazionale, in una situazione di forte deprivazione.
«A differenza poi del grande movimento di gente che cammina dietro a Gesù, Bartimeo è fermo. L’Evangelista dice che è seduto lungo la strada, dunque ha bisogno di qualcuno che lo rimetta in piedi e lo aiuti a riprendere il cammino», cioè a rimettersi al passo degli altri uomini. Ad ogni modo, «Bartimeo ci insegna a fare appello alle risorse che ci portiamo dentro e che fanno parte di noi. Lui è un mendicante, sa chiedere, anzi, può gridare», e quindi fa udire la sua voce non appena comprende che sta passando Colui che veniva acclamato come Messia ed era ormai noto come potente taumaturgo. «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!», ovvero la frase pronunciata da Bartimeo, unisce non a caso un tradizionale appellativo messianico ad una drammatica richiesta di misericordia divina. «Bartimeo è cieco, ma paradossalmente vede meglio degli altri e riconosce chi è Gesù», che di fronte a questa accorata professione di fede, che contiene anche tutto il dolore di Bartimeo, si ferma e guarisce.
Il cieco non si fa pregare: balza in piedi, alzandosi dal mantello che rappresentava tutte le sue sicurezze anche giuridiche, come fa notare il Papa, per il quale «quello che ci blocca sono proprio le nostre apparenti sicurezze, quello che ci siamo messi addosso per difenderci e che invece ci sta impedendo di camminare. Per andare da Gesù e lasciarsi guarire, Bartimeo deve esporsi a Lui in tutta la sua vulnerabilità. Questo è il passaggio fondamentale per ogni cammino di guarigione». Il Pontefice chiosa che «a volte le persone sono bloccate perché la vita le ha umiliate e desiderano solo ritrovare il proprio valore».
«La risposta di Bartimeo è profonda: usa il verbo anablepein, che può significare “vedere di nuovo”, ma che potremmo tradurre anche con “alzare lo sguardo”. Bartimeo, infatti, non vuole solo tornare a vedere, vuole ritrovare anche la sua dignità»: insomma, uno sguardo nuovo su se stesso, una rinascita battesimale, e «ciò che salva Bartimeo, e ciascuno di noi, è la fede. Gesù ci guarisce perché possiamo diventare liberi» di seguirlo, di amarlo. La vicina solennità della SS. Trinità «vi introduca sempre più nell’Amore divino, per compiere in ogni circostanza la volontà del Signore».