Mercoledì 31 gennaio 2024. Meglio ragione, religione e amorevolezza, i capisaldi del metodo preventivo di don Bosco. Arrabbiarsi, però, non è sempre un peccato, assicura il Papa
di Michele Brambilla
L’udienza di Papa Francesco del 31 gennaio parla del vizio dell’ira. «È un vizio particolarmente tenebroso, ed è forse il più semplice da individuare da un punto di vista fisico», dice il Papa, dato che «la persona dominata dall’ira difficilmente riesce a nascondere questo impeto: lo riconosci dalle mosse del suo corpo, dall’aggressività, dal respiro affannoso, dallo sguardo torvo e corrucciato. Nella sua manifestazione più acuta l’ira è un vizio che non lascia tregua. Se nasce da un’ingiustizia patita (o ritenuta tale), spesso non si scatena contro il colpevole, ma contro il primo malcapitato»: una sorta di vendetta sommaria.
L’ira «esprime l’incapacità di accettare la diversità dell’altro, specialmente quando le sue scelte di vita divergono dalle nostre. Non si arresta ai comportamenti sbagliati di una persona, ma getta tutto nel calderone: è l’altro, l’altro così com’è, l’altro in quanto tale a provocare la rabbia e il risentimento», che possono indurre a modificare gli stessi equilibri biologici di colui che si lascia trascinare dal rancore. «È per questo motivo che l’apostolo Paolo», spiega il Pontefice, «raccomanda ai suoi cristiani di affrontare subito il problema e di tentare la riconciliazione: “Non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Ef 4,26)». La memoria dei torti subiti può, infatti, trascinarsi per giorni, talvolta anni, nel caso dei popoli secoli.
«Nel “Padre nostro” Gesù ci fa pregare per le nostre relazioni umane che sono un terreno minato»: e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. «Ciò che contrasta l’ira è la benevolenza, la larghezza di cuore, la mansuetudine, la pazienza», elenca il Santo Padre.
Il lettore mediamente colto citerà «“l’ira di Achille”, che sarà causa di “infiniti lutti”», come recita il proemio dell’Iliade, «ma non tutto ciò che nasce dall’ira è sbagliato. Gli antichi erano ben consapevoli che in noi sussiste una parte irascibile che non può e non deve essere negata. Le passioni in qualche misura sono inconsapevoli: capitano, sono esperienze della vita. Non siamo responsabili dell’ira nel suo sorgere, ma sempre nel suo sviluppo. E qualche volta è bene che l’ira si sfoghi nella giusta maniera. Se una persona non si arrabbiasse mai, se non si indignasse davanti a un’ingiustizia, se davanti all’oppressione di un debole non sentisse fremere qualcosa nelle sue viscere, allora vorrebbe dire che quella persona non è umana, e tantomeno cristiana», chiosa il Papa.
Il Vangelo stesso attesta che «esiste una santa indignazione, che non è l’ira ma un movimento interiore, una santa indignazione. Gesù l’ha conosciuta diverse volte nella sua vita (cfr Mc 3,5): non ha mai risposto al male con il male, ma nel suo animo ha provato questo sentimento e, nel caso dei mercanti nel Tempio, ha compiuto un’azione forte e profetica, dettata non dall’ira, ma dallo zelo per la casa del Signore».
Arrabbiarsi di fronte al male è quindi lecito, doveroso, ma bisogna sempre combattere il male con il bene, come fece il Signore. Nel giorno della sua memoria liturgica, il Pontefice cita san Giovanni Bosco (1815-88), «affinché possa rendere feconda la vocazione di ciascuno nella Chiesa e nel mondo», lui che educò e insegnò ad educare generazioni di ragazzi con ragione, religione e amorevolezza (il cosiddetto “metodo preventivo”).