Crogiolarsi nel dolore, crogiolarsi nel peccato

Mercoledì 18 giugno 2025. L’errore di tanti è un fatalismo che sconfina nell’accidia, perché la vera paura è essere “svegliati” dal Signore. Vale per i peccatori, ma vale anche per le nazioni in guerra

di Michele Brambilla

Nell’udienza del 18 giugno «continuiamo a contemplare Gesù che guarisce. In modo particolare», spiega Papa Leone XIV, «oggi vorrei invitarvi a pensare alle situazioni in cui ci sentiamo “bloccati” e chiusi in vicolo cieco. A volte ci sembra infatti che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare. Questa situazione viene descritta nei Vangeli con l’immagine della paralisi. Per questo motivo vorrei fermarmi oggi sulla guarigione di un paralitico, narrata nel quinto capitolo del Vangelo di San Giovanni (5,1-9)». 

In quel capitolo, infatti, Gesù raggiunge le parti del Tempio di Gerusalemme e delle sue vicinanze che erano riservate agli infermi e a chi portava malattie considerate impure, tenendo conto del fatto che, all’epoca, si credeva che il malato fosse sempre un peccatore punito. «Queste persone speravano in un prodigio che potesse cambiare la loro sorte», per cui si affollavano attorno ad una piscina «le cui acque erano considerate taumaturgiche, capaci cioè di guarire: in alcuni momenti l’acqua si agitava e, secondo la credenza del tempo, chi si immergeva per primo veniva guarito. Si veniva a creare così una sorta di “guerra tra poveri”: possiamo immaginare la scena triste di questi malati che si trascinavano faticosamente per entrare nella piscina». Una lotta disperata a cui, spesso, molti non partecipavano rassegnati. Ecco allora che l’attenzione si sposta dalle possibilità motorie alle dinamiche interiori. 

Il Papa ribadisce che la Chiesa è il luogo per eccellenza «dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza». Nel caso descritto dal Vangelo, «Gesù si rivolge specificamente a un uomo che è paralizzato da ben trentotto anni. Ormai è rassegnato, perché non riesce mai a immergersi nella piscina, quando l’acqua si agita (cfr v. 7). In effetti, quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e rischiamo di cadere nell’accidia», allora non è inutile la domanda «Vuoi guarire?», perché «quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo». Forse, come scriveva sant’Agostino, il paralitico «per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. […] È venuto dunque l’uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione?» (Omelia 17, 7).

Spesso temiamo di più il Signore, che ci guarisce, dei nostri tormenti interiori, perché in fondo essi sono una “sicurezza”, mentre Gesù ci inquieta e preferiamo non farci le domande necessarie. «Pensiamo che le cose ci capitano perché non siamo fortunati, perché il destino ci è avverso», quindi ci lamentiamo a vuoto, senza fare un passo verso la soluzione dei problemi. «Gesù invece lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella», che da simbolo di auto-costrizione diventa emblema di un passato redento.

Le cose, tra le nazioni, non funzionano diversamente. Si preferisce la via più facile, quella del sangue, e non si fa nulla per fermare la carneficina. E’ quello che il Pontefice rimprovera alla comunità internazionale. «Cari fratelli e sorelle, il cuore della Chiesa è straziato per le grida che si levano dai luoghi di guerra, in particolare dall’Ucraina, dall’Iran, da Israele, da Gaza. Non dobbiamo abituarci alla guerra» proprio come, a livello personale, non ci dobbiamo crogiolare nelle fragilità e nei peccati. «Bisogna respingere come una tentazione il fascino degli armamenti potenti e sofisticati», dato che «si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti a una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati» (Conc. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 79). «Pertanto, in nome della dignità umana e del diritto internazionale, ripeto ai responsabili ciò che soleva dire Papa Francesco: la guerra è sempre una sconfitta! E con Pio XII: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”», come Papa Pacelli disse alla radio il 24 agosto 1939, pochi giorni prima dell’inizio della Seconda guerra mondiale. 

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