Vaticano II concilio missionario

Giovedì 9 marzo 2023. Il Papa ribadisce la continuità dell’unico soggetto Chiesa attraverso la storia dei concili, il 21° dei quali ha aperto ufficialmente la stagione della nuova evangelizzazione con il decreto Ad Gentes

di Michele Brambilla

Papa Francesco, nell’udienza dell’8 marzo, tocca il punto nodale dell’interpretazione che si deve dare ai documenti del Concilio Vaticano II (1962-65). Lo fa confermando anzitutto la continuità storica dell’unico soggetto Chiesa. Dice, infatti, il Pontefice: «nella scorsa catechesi abbiamo visto che il primo “concilio” nella storia della Chiesa – concilio, come quello del Vaticano II -, il primo concilio, fu convocato a Gerusalemme per una questione legata all’evangelizzazione».

Con queste parole iniziali Francesco ribadisce che non esistono una “Chiesa pre-conciliare” e una “Chiesa del Concilio”, valutate più o meno negativamente, ma una sola Chiesa, santa, cattolica, apostolica che cammina nella storia. Infatti «c’è come un ponte tra il primo e l’ultimo Concilio, nel segno dell’evangelizzazione, un ponte il cui architetto è lo Spirito Santo. Oggi ci mettiamo in ascolto del Concilio Vaticano II, per scoprire che evangelizzare è sempre un servizio ecclesiale, mai solitario, mai isolato, mai individualistico. L’evangelizzazione si fa sempre in ecclesia», cioè nella e con la Chiesa.

«L’evangelizzatore, infatti, trasmette sempre ciò che lui stesso o lei stessa ha ricevuto. Lo scriveva per primo san Paolo» nella sua prima lettera ai Corinzi, ma lo evidenzia con altrettanta pregnanza il decreto conciliare Ad Gentes (sigla AG). Il Magistero della Chiesa non dice mai cose differenti da quelle rivelate dal Signore e non si contraddice. Infatti «lo stesso Paolo scrive ai Galati: “Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema” (1,8). È bello questo e questo viene bene a tante visioni che sono alla moda», commenta il Papa riferendosi indirettamente ad entrambe le “estreme” (progressisti e tradizionalisti). «Questi testi del Vaticano II mantengono pienamente il loro valore anche nel nostro contesto complesso e plurale», vincendo la duplice tentazione di considerarli “inadeguati” perché “eretici” o “sorpassati” perché “poco coraggiosi”. 

Prendendo in mano il decreto AG, il Santo Padre osserva che «prima di tutto, questo documento, AG, invita a considerare l’amore di Dio Padre, come una sorgente, che “per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea e, inoltre, per grazia ci chiama a partecipare alla sua vita e alla sua gloria. Questa è la nostra vocazione. Egli per pura generosità ha effuso e continua a effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche “tutto in tutti” (1 Cor 15,28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità” (n. 2). Questo brano è fondamentale, perché dice che l’amore del Padre ha per destinatario ogni essere umano», e questa è la “molla” cha fa scattare la nuova evangelizzazione. Un compito personale, che tocca personalmente ogni battezzato, così come Cristo si è donato a tutti nella sua Pasqua e cerca ciascuno di noi. AG sottolinea, infatti, con forza l’origine pasquale del compito di evangelizzare: «è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo, lo Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, Egli uscì vincitore» (n.5).

«Tu sei cristiano? “Sì, ho ricevuto il Battesimo…” E tu evangelizzi? “Ma cosa significa questo…?” Se tu non evangelizzi, se tu non dai testimonianza, se tu non dai quella testimonianza del Battesimo che hai ricevuto, della fede che il Signore ti ha dato, tu non sei un buon cristiano. In virtù del Battesimo ricevuto e della conseguente incorporazione nella Chiesa, ogni battezzato partecipa alla missione della Chiesa e, in essa, alla missione di Cristo Re, Sacerdote e Profeta», insiste il Papa, che incoraggia nuovamente una “sana creatività”, o meglio la legge dello sviluppo nella Tradizione, dato che, «fratelli e sorelle, questo compito “è uno e immutabile in ogni luogo e in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo” (AG, 6). Questo ci invita a non sclerotizzarci o fossilizzarci; ci riscatta da questa inquietudine che non è di Dio. Lo zelo missionario del credente si esprime anche come ricerca creativa di nuovi modi di annunciare e testimoniare, di nuovi modi per incontrare l’umanità ferita di cui Cristo si è fatto carico. Insomma, di nuovi modi per rendere servizio al Vangelo e rendere servizio all’umanità». E anche «risalire all’amore fontale del Padre e alle missioni del Figlio e dello Spirito Santo non ci chiude in spazi di statica tranquillità personale. Al contrario, ci porta a riconoscere la gratuità del dono della pienezza di vita alla quale siamo chiamati, questo dono per il quale lodiamo e ringraziamo Dio. Questo dono non è soltanto per noi, ma è per darlo agli altri. E ci porta anche a vivere sempre più pienamente quanto ricevuto condividendolo con gli altri, con senso di responsabilità e percorrendo insieme le strade, tante volte tortuose e difficili della storia, in attesa vigilante e operosa del suo compimento».

 

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