Il Natale della nostra pace

Lunedì 26 dicembre 2022. Occidente e Oriente si volgano verso la grotta di Betlemme per imparare la strada di un mondo davvero “aperto” da un Dio che chiede in elemosina la nostra povera umanità (san Gregorio di Nazianzo)

di Michele Brambilla

Il messaggio Urbi et orbi di Papa Francesco del 25 dicembre 2022 è incentrato sul canto degli angeli a Betlemme: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). In questo giorno solenne volgiamo lo sguardo sulla grotta della Natività, dove Gesù «viene tra noi nel silenzio e nell’oscurità della notte, perché il Verbo di Dio non ha bisogno di riflettori, né del clamore delle voci umane. Egli stesso è la Parola che dà senso all’esistenza, Lui è la luce che rischiara il cammino».

Come ricorda il Papa, il Signore «viene per accompagnare il nostro vivere quotidiano, per condividere tutto con noi, gioie e dolori, speranze e inquietudini. Viene come bambino inerme. Nasce al freddo, povero tra i poveri», per mostrarci che l’essenziale è proprio Lui. Il Pontefice formula un’esortazione all’opulento mondo occidentale: «vinciamo il torpore del sonno spirituale e le false immagini della festa che fanno dimenticare chi è il festeggiato. Usciamo dal frastuono che anestetizza il cuore e ci induce a preparare addobbi e regali più che a contemplare l’Avvenimento: il Figlio di Dio nato per noi». In ogni caso, «fratelli, sorelle, volgiamoci a Betlemme, dove risuona il primo vagito del Principe della pace. Sì, perché Lui stesso, Gesù, Lui è la nostra pace: quella pace che il mondo non può dare e che Dio Padre ha donato all’umanità mandando nel mondo il suo Figlio. San Leone Magno ha un’espressione che, nella concisione della lingua latina, riassume il messaggio di questo giorno: “Natalis Domini, Natalis est pacis”, “il Natale del Signore è il Natale della pace” (Sermone 26,5)», e mai come quest’anno giova ripetere che «Gesù Cristo è anche la via della pace. Egli, con la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione, ha aperto il passaggio da un mondo chiuso, oppresso dalle tenebre dell’inimicizia e della guerra, a un mondo aperto, libero di vivere nella fraternità e nella pace. Fratelli e sorelle, seguiamo questa strada! Ma per poterlo fare, per essere in grado di camminare dietro a Gesù, dobbiamo spogliarci dei pesi che ci intralciano e ci tengono bloccati». I pesi e le zavorre «sono le stesse passioni negative che impedirono al re Erode e alla sua corte di riconoscere e accogliere la nascita di Gesù: cioè, l’attaccamento al potere e al denaro, la superbia, l’ipocrisia, la menzogna», che caratterizzano anche il mondo di oggi. 

Nel 2022 «il nostro sguardo si riempia dei volti dei fratelli e delle sorelle ucraini, che vivono questo Natale al buio, al freddo o lontano dalle proprie case, a causa della distruzione causata da dieci mesi di guerra», di fronte ai quali il Papa si rammarica dell’impenetrabilità delle grandi potenze ad una logica di pace. «Il nostro tempo sta vivendo una grave carestia di pace anche in altre regioni, in altri teatri di questa terza guerra mondiale» “a pezzi”. «Pensiamo alla Siria, ancora martoriata da un conflitto che è passato in secondo piano ma non è finito; e pensiamo alla Terra Santa, dove nei mesi scorsi sono aumentate le violenze e gli scontri, con morti e feriti»; più in generale, «Gesù Bambino sostenga le comunità cristiane che vivono in tutto il Medio Oriente, perché in ciascuno di quei Paesi si possa vivere la bellezza della convivenza fraterna tra persone appartenenti a diverse fedi. Aiuti in particolare il Libano, perché possa finalmente risollevarsi, con il sostegno della Comunità internazionale e con la forza della fratellanza e della solidarietà. La luce di Cristo illumini la regione del Sahel, dove la pacifica convivenza tra popoli e tradizioni è sconvolta da scontri e violenze. Orienti verso una tregua duratura nello Yemen e verso la riconciliazione nel Myanmar e in Iran, perché cessi ogni spargimento di sangue», pensando in particolare alle manifestazioni di queste settimane. Cristo «ispiri le autorità politiche e tutte le persone di buona volontà nel continente americano, ad adoperarsi per pacificare le tensioni politiche e sociali che interessano vari Paesi; penso in particolare alla popolazione haitiana che sta soffrendo da tanto tempo».

Per lunghi mesi il blocco del grano ucraino ha determinato il pericolo di una carestia globale, non ancora del tutto scongiurata, pertanto «in questo giorno, nel quale è bello ritrovarsi attorno alla tavola imbandita, non distogliamo lo sguardo da Betlemme, che significa “casa del pane”, e pensiamo alle persone che patiscono la fame, soprattutto bambini, mentre ogni giorno grandi quantità di alimenti vengono sprecate e si spendono risorse per le armi». Rivolgendosi ancora alle grandi potenze, «in questo giorno, imparando dal Principe della pace, impegniamoci tutti, per primi quanti hanno responsabilità politiche, perché il cibo sia solo strumento di pace» e non di ricatto geopolitico, di cui fanno le spese anche i popoli lontani dai campi di battaglia. 

Secondo il Pontefice, molta parte del mondo continua a guardare a se stessa dall’angolatura sbagliata, quella della propria indifferenza, mentre, «fratelli e sorelle, Betlemme ci mostra la semplicità di Dio, che si rivela non ai sapienti e ai dotti, ma ai piccoli, a chi ha il cuore puro e aperto (cfr Mt 11,25). Come i pastori, andiamo anche noi senza indugio e lasciamoci stupire dall’evento impensabile di Dio che si fa uomo per la nostra salvezza. Colui che è fonte di ogni bene si fa povero», dice il Papa parafrasando (la citazione è tratta dal Discorso 45) san Gregorio di Nazianzo (329-390), «e chiede in elemosina la nostra povera umanità». 

 

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