Venerdì 19 aprile 2024

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao (Giovanni 6,52-59).


L’affermazione di Gesù, riportata da Giovanni nel Vangelo, «la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda», costituisce il centro ovvero la sostanza del suo discorso eucaristico sul pane di vita. Nel brano evangelico di oggi, dapprima Gesù ribadisce la necessità, per ciascuno di noi, di cibarsi delle specie consacrate, che sono la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere, per avere accesso alla vita eterna e alla risurrezione nell’ultimo giorno. Con le sue proposizioni seguenti, Gesù spiega che la vita donata a chi mangia la sua carne e beve il suo sangue è la comunione con lui, dimora reciproca, simile alla comunione di vita che egli ha con il Padre. Infine Gesù conclude ponendo in risalto la novità e assoluta originalità del suo pane di vita, il solo dal quale viene la vita eterna: è il pane vero, superiore alla manna che ne era semplicemente pallido simbolo.

Dicendo che bisognava mangiare la sua carne e bere il suo sangue, Gesù prospetta la realtà sacrificale dell’Eucaristia, sacramento del mistero pasquale, ossia del sacrificio del suo amore compiuto con la morte in croce per l’opera della redenzione che risplende nella risurrezione. L’eucaristia, come crede e canta la Chiesa nella sublime esperienza dei suoi santi in piena comunione con Cristo, rende presente questo mistero di Dio che ama e santifica i suoi figli, credenti nell’unico Salvatore, il suo Figlio unigenito.

Lo testimonia splendidamente san Tommaso d’Aquino (1224/1226-1274) con il suo inno Adoro te devote, impreziosito dalla melodia gregoriana, che presentiamo in traduzione italiana, esempio dei primi passi della riforma liturgica nel solco della continuità: «O Gesù ti adoro, ostia candida, / sotto un vel di pane, nutri l’anima. / Solo in te il mio cuore si abbandonerà, / perché tutto è vano se contemplo te. // L’occhio, il tatto, il gusto non arriva a te, / ma la tua parola resta salda in me: / Figlio sei di Dio, nostra verità; / nulla di più vero, se ci parli tu. // Hai nascosto in croce la divinità, / sull’altare veli pur l’umanità: / Uomo-Dio la fede ti rivela a me, / come al buon ladrone dammi un giorno il ciel. // Anche se le piaghe non mi fai toccar, / grido con Tommaso: “Sei il mio Signor”. / Cresca in me la fede, voglio in te sperar, / pace trovi il cuor solo nel tuo amor».

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