Novus Ordo Missae e Fede Cattolica

Rendiamo nuovamente disponibile in formato pdf l’importante opera di approfondimento litrugico “Novus Ordo Missae e Fede Cattolica”, edita a Genova nel 1988 da Quadrivium.

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PREFAZIONE DELL’AUTORE

Rileggendo le pagine di questo studio a distanza di qualche anno (esso è nato come dissertazione di licenza in sacra teologia, discussa nell’ottobre 1984), soprattutto in considerazione del fatto che la sua elaborazione è ancora più remota nel tempo, provo quella sensazione che penso sia di tutti quelli che hanno scritto qualcosa e ritornano dopo un po’ di tempo sul frutto della loro fatica. Una sensazione che si può riassumere così: oggi non scriverei più le stesse cose…

Non intendo con queste parole sconfessare quanto ho scritto ed è già venuto a conoscenza del pubblico attraverso la rivista Renovatio. Se così fosse mi asterrei ora dal raccogliere in volume questi articoli per riproporli alla lettura nel loro insieme. Intendo solo sottolineare che il modo con cui affronterei l’argomento sarebbe certamente diverso.
Il clima in cui è nato l’interesse che ha motivato questa ricerca – si tratta di avvenimenti che mi hanno coinvolto in prima persona – non è più. In fondo sono passati pochi anni, ma la cosiddetta «accelerazione della storia» è un fatto e non soltanto una suggestiva ipotesi. Tuttavia i problemi allora roventi conservano la loro importanza, anche perché, pur essendo cambiato il clima, continuano ad essere ampiamente irrisolti. Nella Chiesa è in atto una divisione che vede tanti cattolici in una posizione di rifiuto o comunque di distacco nei confronti del cammino che la Chiesa ha compiuto da vent’anni a questa parte.

Non vi è solo la Messa. La Messa sta al centro, perché quello è il suo posto, ma vi sono tanti altri problemi che meriterebbero una attenzione almeno altrettanto sofferta, anche se certamente qualitativamente ben più adeguata, di quella da me prestata al problema della celebrazione eucaristica. Sono questioni di peso: la libertà religiosa, l’ecumenismo, i rapporti Chiesa-mondo nel Concilio Vaticano II. Questioni spinose se affrontate a partire da questo particolare punto di vista: in che senso le attuali posizioni sono eco dell’immutabile Tradizione della Chiesa? In che modo sono momenti di quello sviluppo che, come ha osservato recentemente il cardinale Ratzinger, fa «parte del numero di concetti fondamentali del Cattolicesimo» (Chiesa, Ecumenismo e Politica, Ed. Paoline, Milano 1987, p. 12)? Quell’idea di sviluppo che fece da ponte alla conversione del cardinale Newman e che dovrebbe stare a cuore al «tradizionalista» almeno altrettanto, se non di più, che al «progressista». Solo lo sviluppo infatti garantisce la vivente identità con l’origine che è il nocciolo stesso dell’idea di Tradizione. Si tratta di autentiche «aporie», ma la teologia che non vuole ridursi a mera ripetizione o a vuota chiacchiera, parte proprio di lì, come ci insegnano le liste di obiezioni con il sed contra che aprono quel vivo e «drammatico» dialogo che sono gli articoli della Summa theologica di san Tommaso d’Aquino. Purtroppo mi pare che l’acutezza teologica venga dispiegata più nell’evitare elegantemente le difficoltà reali che nell’affrontarle con coraggio e passione per la verità.
Anche da un punto di vista strettamente scientifico la rilettura di uno studio come quello di José Miguel Sustaeta (peraltro già qui citato) mi indurrebbe oggi a vedere il problema teologico del Novus Ordo Missae ancora più immerso nel contesto della concreta celebrazione (perché questa è la natura della liturgia), quindi tenendo conto di tutte le preghiere che la costituiscono e che non sono soltanto quelle dell’ordinario (qui unicamente prese in considerazione), ma anche quelle del proprio: introiti, collette, sulle offerte, antifone, postcommunî, ecc. Sarebbe un utilissimo complemento. Tuttavia l’argomentazione, anche così, conserva la sua sostanziale validità.
Coinvolto negli avvenimenti, come ho già detto, non posso non pensare con simpatia a coloro cui in questo studio «contraddico» (in particolare l’autore del testo principalmente preso in considerazione: Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira, che scrive sotto gli auspici della TFP brasiliana, il cui apostolato politico–sociale mi pare degno di speciale apprezzamento). Neppure l’ombra di disistima vorrei che trasparisse da un linguaggio e da una terminologia la cui freddezza è solamente lo scotto che si paga inevitabilmente alla ricerca della massima oggettività.
Non vorrei neppure che questo studio desse l’impressione di spirito incorreggibilmente «antiecumenico». È difficile fare dell’ecumenismo ad intra e nello stesso tempo anche ad extra. Le buone intenzioni non modificano certo il risultato; penso però che la loro conoscenza possa contribuire ad una migliore disposizione del lettore che lo deve giudicare.
Se, in una misura anche minima, queste pagine potessero servire in qualche modo alla causa dell’unità della Chiesa, mi sentirei profondamente gratificato e reputerei la mia fatica, anche se certamente tanto manchevole, non del tutto inutile.
Infine tengo ad aggiungere una formula oggi un po’ desueta, correndo il rischio di alimentare l’impressione che tutto questo libro sia un po’ desueto: sottopongo quanto ho scritto al giudizio della Chiesa Cattolica Romana e intendo fin d’ora per ritrattato tutto quello che dovesse risultare, per suo insindacabile giudizio, non in perfetta conformità con la sana dottrina.

Massa, 1 gennaio 1988

PIERO CANTONI

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