Mentem elevas. I prefazi di Quaresima I-IV

– di don Emanuele Borserini – 

Per il tempo forte della Quaresima il Messale Romano prevede un numero di prefazi superiore rispetto a quelli dell’Avvento dei quali ci siamo messi in ascolto in un articolo precedente (“Verrà di nuovo nello splendore della gloria. I prefazi d’Avvento”). Inoltre essi si trovano raccolti in due sezioni distinte del Messale stesso. Alcuni sono nel “Proprio del tempo” che si trova all’inizio del libro e raccoglie le orazioni e le antifone per celebrare la Messa nei tempi liturgici: Avvento, Natale, Quaresima, Triduo pasquale e Pasqua e, infine, Tempo ordinario con alcune solennità del Signore. Troviamo testi di prefazio anche nel Proprio del tempo perché per le prime due Domeniche di Quaresima, che in tutti e tre i cicli di letture domenicali (A-B-C) ci presentano il vangelo delle tentazioni di Gesù e della sua trasfigurazione secondo le diverse versioni sinottiche, è stato redatto anche un loro prefazio proprio: “Gesù vittorioso sulla tentazione del maligno” e “La trasfigurazione annunzio della beata passione”. In modo simile, per i ciclo A sono previsti prefazi propri anche per le tre Domeniche successive (delle quali abbiamo parlato nell’articolo “La samaritana, l’iniziazione, il tesoro”): “La samaritana e l’acqua viva”, “Il cieco nato e Cristo luce del mondo” e “La risurrezione di Lazzaro segno della Pasqua”. Si passa poi a quelli raccolti nel “Rito della Messa con il popolo” che si trova a seguire, quindi più o meno al centro del libro, e descrive esattamente la celebrazione dell’Eucaristia; per questo, quando arriva alla Liturgia eucaristica esso propone anche numerosi prefazi per ogni tempo liturgico, per i sacramenti e per le varie circostanze celebrative come le feste dei Santi e di Maria Santissima oppure per i defunti. Qui si trovano i cinque prefazi “di Quaresima” e i due prefazi “della Passione del Signore”. Tra questi abbiamo, peraltro, una peculiarità della versione italiana del Messale che è il V prefazio. Si completa così la corposa collezione di dodici testi che ci è donata dalla Chiesa per realizzare la celebrazione dell’esordio della preghiera eucaristica nel tempo forte della Quaresima.

Di tutta questa ricchezza inestimabile per la nostra fede, proveremo a raccogliere alcune sollecitazioni dai prefazi di Quaresima I, II, III e IV perché sono quelli che con buona probabilità ascolteremo più spesso. Anzitutto, bisogna osservare che questi primi quattro prefazi si possono raccogliere a loro volta in due gruppi a partire dalla rubrica che li accompagna. Cos’è una rubrica? Ogni libro liturgico contiene tutte le preghiere della celebrazione a cui si riferisce e le descrizioni dei riti da compiersi per la sua realizzazione: le prime sono scritte in nero, le seconde in rosso e per questo si chiamano rubriche, dal latino ruber che significa rosso. Leggiamo ora le rubriche che, stando sotto il nome e il titolo di ogni prefazio, compongono graficamente la pagina del Messale.

  1. Prefazio di Quaresima I e II: “Si dice nel tempo di Quaresima, specialmente nelle domeniche, quando non è indicato un prefazio più aderente alla Messa del giorno”, cioè quando non siano previsti quelli che abbiamo elencato come propri alle singole Domeniche; tuttavia non è esclusa la possibilità di utilizzare anche nelle altre Domeniche uno dei testi seguenti se fossero più adatti in base alla liturgia della Parola ma anche, non dimentichiamolo, all’eucologia cioè alle orazioni e alle antifone che strutturano la celebrazione.
  2. Prefazio di Quaresima III e IV: “Si dice nelle Messe delle ferie di Quaresima e nei giorni di digiuno” perché non sono di per sé pensati per la domenica ma la per le Messe feriali. E fin qui nulla di strano. Ma cosa sono i giorni di digiuno? Quella del digiuno è una pratica antica che ritroviamo spesso nella Bibbia dall’antichità fino a Gesù stesso e agli apostoli. Oggi sono prescritti due soli giorni di digiuno (con tutte le condizioni espresse nel Codice di Diritto Canonico, nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nei documenti di precisazione della Conferenza Episcopale Italiana): il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì santo. Tuttavia, ciò non significa che questa pratica benedetta sia da limitarsi ad essi, questo è il minimo sindacale per ogni cristiano, ma la sapienza della Chiesa l’ha sempre estesa ai giorni di penitenza comunitaria o personale e soprattutto a quelli di vigilia. Lasciandosi ispirare dalle parole con cui Gesù afferma che gli invitati alle nozze non possono digiunare quando lo sposo è con loro (cfr. Mt 9,15), la Chiesa, di riflesso, vi ha sempre visto un formidabile strumento di preparazione ad ogni incontro solenne con il suo Sposo.

Ascoltiamo finalmente questi testi che come sempre sono splendide poesie, ma prima di addentrarci nei testi, era davvero utile dare uno sguardo a questo quadro di riferimento per conoscere sempre di più i libri liturgici perché essi determinano la nostra relazione con Dio.

 

Prefazio di Quaresima  I

Il significato spirituale della Quaresima

 

Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua, perché, assidui nella preghiera e nella carità operosa, attingano ai misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore.

 

La parte centrale di questo prefazio, cioè quella propria che è racchiusa dall’introduzione e dalla conclusione tipicamente standardizzate (per la struttura vedi l’articolo sui prefazi d’Avvento), si apre con una constatazione: “ogni anno” ritorna il tempo forte della Quaresima. Perché c’è bisogno ogni anno di tornare sui nostri passi? Tutto l’anno liturgico è una ripetizione delle medesime feste, dei medesimi misteri della vita del Signore e della medesima storia della salvezza compendiata. La reiterazione tipica della liturgia ci apre in questo modo ad una vera relazionalità con Dio dove non basta mettere delle spunte blu come quelle di Whatsapp per dire di aver capito tutto perché “non è il molto sapere che sazia e soddisfa l’anima ma il sentire e il gustare le cose interiormente” (Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali). E per fare questo è necessario molto tempo per stare insieme con lui, frequentarsi, conoscersi e crescere insieme. Più che un cerchio chiuso o una linea, figure che certo non appartengono ad una descrizione cristiana del tempo, l’esperienza liturgica ci mostra che il tempo è per noi una spirale, quindi una figura tridimensionale, perché ogni volta che ci fa ritornare sugli stessi misteri ci permette di approfondirne il gusto. Gli eventi della salvezza sono sempre gli stessi ma noi siamo ogni volta diversi e ne abbiamo un’esperienza diversa che ne illumina un aspetto particolare. Del resto, anche in paradiso sarà così: non potremo annoiarci perché saremo sorpresi ogni giorno dalla conoscenza di un nuovo volto dell’infinita bellezza di Dio. “Il significato spirituale della Quaresima” annunciato dal titolo di questo prefazio è custodito in una parola del secondo verso che forse non siamo abituati ad attribuire a questo tempo rigorosamente penitenziale: la gioia. Ben lungi delle piccole soddisfazioni che ci possiamo prendere, la gioia non è nemmeno la somma di esse ma è anzitutto un dono di Dio ed è lo stato che accompagna la nostra realizzazione. “Si può comandare l’amore ma la gioia no: quella sopraggiunge come l’effetto insperato di un dono ricevuto, riconosciuto e condiviso” (Paolo Tomatis, Il pozzo e la sorgente. Sensi e sentimenti nella liturgia, Edizioni Messaggero Padova, Padova 2019, p. 107). “Siamo fatti per amare”, direbbe Nek in una famosa canzone, ed è quando amiamo che realizziamo la nostra vocazione umana e pregustiamo la gioia dell’amore eterno in cui siamo chiamati a vivere per sempre. La Quaresima, dunque, ci offre la purificazione da tutto ciò che ci allontana dalla fonte della nostra gioia e della nostra realizzazione perché solo “chi segue Cristo uomo perfetto diventa egli pure più uomo” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et spes, 22).

Dal punto di vista letterario, questo prefazio è diviso in due parti dall’avverbio “perché” e le due parti sono costruite simmetricamente per spiegarsi a vicenda proprio come nelle poesie. All’inciso sulla purificazione della prima sezione corrisponde un inciso che ne esplicita le modalità tradizionali nella seconda: la preghiera più intensa e la carità verso i fratelli. Così, all’apice della prima sezione che è la celebrazione della Pasqua corrisponde l’apice della seconda che è la perifrasi incentrata sull’azione molto concreta di attingere vita nuova dai misteri della salvezza. E proprio la notte di Pasqua, nella liturgia battesimale della grande veglia attingeremo l’acqua che ci salva dal fonte e ne saremo aspersi di nuovo. Nell’editio typica c’è un ulteriore richiamo testuale perché il tema temporale di apertura viene infine ripreso nell’azione della frequentatione mysteriorum, come a dire che frequentando i misteri ogni anno i fedeli possono essere guidati (perducantur in forma passiva che ne sottolinea la qualità di dono) alla pienezza della loro vita. Questa è la gioia che si riflette su tutta la Quaresima!

 

Prefazio di Quaresima  II

La penitenza dello spirito

 

Tu hai stabilito per i tuoi figli un tempo di rinnovamento spirituale, perché si convertano a te con tutto il cuore, e liberi dai fermenti del peccato vivano le vicende di questo mondo, sempre orientati verso i beni eterni.

 

Questo prefazio magnifica il Signore perché ha stabilito un momento speciale, un’occasione da cogliere per la nostra conversione, parola che indubbiamente domina tutta la spiritualità della Quaresima. Ma soprattutto, esso dice in parole poetiche e molto chiare cosa sia tale conversione: un ordine diverso, anzi il dono di un principio per mettere in ordine tutte le cose della nostra vita. Volti, parole, preoccupazioni, incombenze, desideri, sentimenti e molto altro riassunto nella parola “vicende” attraversa il nostro cuore ogni giorno. Come districarsi? E come infilarci anche le cose di Dio? La prospettiva viene qui completamente ribaltata: non c’è da aggiungere nulla a questo mare magnum ma fare posto alla presenza di Dio che vi mette ordine. Così essa riflette nella nostra natura ferita la caratteristica peculiare del Creatore che all’inizio del tempo e della storia mette ordine nel caos del non essere facendolo diventare il bel cosmo dell’essere. Orientamento e conversione sono le parole chiave di questo testo, parole molto simili che indicano l’avvento di una precisa direzione dello sguardo e della vita. Questa gerarchia delle priorità è davvero benefica e rende a misura d’uomo un mondo che altrimenti ci schiaccerebbe. Scopriamo così che cose a cui non avremmo tributato importanza perché sono invisibili sono più necessarie di molte altre che ci si parano davanti con la loro ingombrante presenza ma delle quali potremmo fare a meno e forse addirittura ci ostacolano nella relazione con Dio. La penitenza che rinnova lo spirito per noi è sempre ritornare alla sorgente della vita, lasciare spazio a Dio che mette ordine nella nostra vita. La locuzione “orientati verso i beni eterni” riecheggia espressioni simili di molte orazioni dopo la Comunione (soprattutto quelle del tempo d’Avvento) con cui la Chiesa chiede, proprio al termine del momento rituale, di rimanere (inhaerere) in quella presenza che ci è stata donata. L’editio typica, poi, ha delle espressioni molto eloquenti: nelle vicende gli uomini incumberent e non si può non notare l’assonanza con l’italiano incombere che si predica di un pericolo o una sventura, mentre nei beni eterni essi inhaererent cioè permangono fermi, quasi tranquilli. La liturgia, in molti modi, ci fa tenere “lo sguardo fisso su Gesù” (Eb 12, 2) perché tutta la nostra vita sia orientata a lui: pensiamo alla catalizzazione dello sguardo sulle sacre specie eucaristiche elevate durante la consacrazione, oppure la presenza della croce sull’altare a cui tutto è riferito come in modo ancora più eloquente avviene al centro della liturgia del Venerdì santo, ma anche solo al naturale orientamento dello spazio di qualsiasi chiesa verso l’altare che ne è il centro naturale.

Possiamo anche notare che nella prima parte, che come la conclusione è comune a tutti i prefazi pur con formulazioni lievemente diverse, questo testo ci offre un’altra perla: “è bello cantare la tua gloria”. Così ci fanno professare anche l’antifona del secondo salmo delle Lodi mattutine del Giovedì della IV settimana del Salterio (è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo) oppure alcuni ritornelli del Salmo responsoriale (per esempio, quello della XI Domenica del Tempo ordinario dell’anno B e della VIII Domenica del Tempo ordinario dell’anno C “è bello rendere grazie al Signore”). Davvero è bello celebrare la gloria di Dio, vedere il suo mistero che risplende nelle parole e nei gesti che egli stesso ci insegna ad utilizzare per conoscerlo. Questo è la liturgia!

 

Prefazio di Quaresima  III

I  frutti della penitenza

 

Tu vuoi che ti glorifichiamo con le opere della penitenza quaresimale, perché la vittoria sul nostro egoismo ci renda disponibili alle necessità dei poveri, a imitazione di Cristo tuo Figlio, nostro salvatore.

 

La veste letteraria di questo prefazio nella sua poesia quasi non ci fa rendere conto della forte incongruenza che esprime perché le opere di penitenza favorite dalla Quaresima sono predicate da un termine che non appartiene di per sé al nostro agire ma è squisitamente liturgico: l’atto di dare gloria a Dio. Come non riandare immediatamente al congedo della Messa e in particolare ad una delle formule previste dalla versione in italiano del Messale che dice: “Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace”? Ritroviamo qui la medesima divergenza: un’azione liturgica ma messa in atto in un contesto diverso. È proprio il confronto con il congedo che ci illumina questa figura poetica perché esso si colloca nel momento in cui, dopo aver glorificato il Signore nel modo perfetto della preghiera della Chiesa, non rimane che continuare a farlo portandola in tutta la propria vita. L’azione liturgica non è distinta dalla vita ma ne è il momento paradigmatico e ciò che ci fa fare da forma a tutta la nostra vita, è davvero una “forma che da forma” come la descrive il documento della CEI per il rinnovo della catechesi in Italia “Incontriamo Gesù” (n. 17). E tutto ritorna lì perché nessuna azione buona è per noi fine a sé stessa o alla costruzione di un mondo ideale come vogliono fare tutti i peggiori regimi della storia, dice infatti Gesù di fare sì opere buone ma perché gli uomini le vedano “e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16). Il nostro retto agire, nello specifico di questo testo l’attenzione ai poveri, è dunque strumento di glorificazione che nasce dalla liturgia e diventa per gli altri un richiamo alla liturgia. Essa che, secondo i Padri della Chiesa è l’opus Dei, l’opera di Dio, è davvero culmen et fons (Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, 10), culmine e fonte della vita cristiana. Essa ci mostra come glorificare Dio per non smettere mai farlo, perché “tutta la nostra vita si trasformi in una perenne liturgia di lode” (orazione delle Lodi mattutine del Sabato della II Settimana del Salterio) e lo Spirito Santo “faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito” (preghiera eucaristica III).

Il tema della glorificazione, che proviene dalla terminologia dell’evangelista Giovanni, è strettamente connesso con il mistero pasquale di Cristo, l’ora (altro termine tipicamente giovanneo) della perfetta glorificazione del Padre da parte del Figlio e del Figlio da parte del Padre (cfr. la preghiera eucaristica IV). Di conseguenza, non può che esserlo anche con la sua preparazione quaresimale. Prende così un senso profondo il tema conclusivo del nostro testo, quello dell’imitazione di Cristo, che per noi significa acquisire, nella sua paziente frequentazione liturgica, il suo stesso stile: la sua vita fu tutta sacrificio di lode al Padre. L’imitazione è l’ingresso nel suo cuore totalmente dedito alla glorificazione del Padre come lo descrive la Lettera agli ebrei (in particolare i capitoli 5 e 10) che abbiamo ascoltato nella Liturgia della Parola delle prime settimane del Tempo ordinario dell’anno dispari. Questo è il frutto più squisito della penitenza!

 

Prefazio di Quaresima  IV

I  frutti del digiuno

 

Con il digiuno quaresimale tu vinci le nostre passioni, elèvi lo spirito, infondi la forza e doni il premio, per Cristo nostro Signore.

 

È la traduzione dell’unico prefazio che è previsto anche dalla forma straordinaria del rito romano per la Quaresima e segue un andamento che possiamo definire propriamente liturgico perché esplicita la dinamica sottesa anche ai testi precedenti. La penitenza e in particolare il digiuno vengono da esso spiegati nel modo migliore: si tratta di un’azione esteriore che ha effetti interiori come tutti i segni sacramentali. Il digiuno di per sé agisce sul corpo (cosa che l’editio typica sottolinea mantenendo la formulazione tradizionale corporali ieiunio invece di “digiuno quaresimale”) ma, poiché nella nostra natura di anima e corpo non esiste niente che appartenga in modo indipendente all’uno o all’altra e nulla conosciamo interiormente se non passa per il corpo (cfr. Tommaso, Quaestione disputatae de veritate, 2, 3, 19), ecco che esso ha la capacità di domare le passioni disordinate (vitia comprimis), richiamare lo spirito umano alla sua alta dignità (mentem elevas), dare forza nel combattimento spirituale (virtutem largiris) e disporre ad accogliere il premio eterno (et premia). Tutta la dinamica liturgica agisce in questo modo (pensiamo alla definizione classica dei sacramenti quali segni visibili della grazia invisibile): anima e corpo, interno ed esterno, visibile ed invisibile, addirittura sacro e profano comunicano ormai definitivamente e trovano unità nel loro unico Creatore che, infatti, è il soggetto di tutte le azioni descritte. Anche dal punto di vista letterario, questo prefazio ha una formulazione di grande rilevanza perché nel gruppo di questi testi quaresimali è l’unico che espliciti un elemento tradizionalmente caratteristico dei prefazi cioè la locuzione “per Cristo nostro Signore” che riassume le motivazioni del ringraziamento che ognuno di essi esprime. Possiamo quindi dire che, pur essendo il quarto nell’ordine della raccolta del Messale, esso ha un valore quasi propedeutico per comprendere la portata anche degli altri testi.

Bisogna, inoltre, fare una digressione sul tema principale di questo prefazio che resta il digiuno. Ebbene, non possiamo non rilevare come esso sia un pratica alquanto accantonata nella vita cristiana media. Ci sono tanti tipi di digiuno e astinenza mi obietterete voi: dal telefonino, dalla televisione, dai dolci… per citare i più comuni. A fronte di queste rinunce, il distacco dal cibo ci appare obsoleto e, a causa dell’abbondanza di esso in cui quasi tutti navighiamo, quasi superfluo. Eppure non ci poniamo il problema quando esso è previsto dall’ascesi laica dello sport e dell’estetica. È paradossale notare come l’attenzione quasi maniacale alla quantità e alla qualità del cibo tipica della nostra società si accompagni a un disinteresse per esso nella nostra pratica religiosa, tema che meriterebbe una più ampia riflessione ma che rientra nel pericoloso distacco tra l’anima e il corpo che stiamo operando nella nostra cultura. La Scrittura e la storia della Chiesa sono chiare e ininterrotte nel mostrare i benefici del digiuno dal cibo e sin dalla liturgia del Mercoledì delle ceneri riceviamo indicazioni su come digiunare, quasi dando per scontato che noi lo si faccia perché “la Chiesa definisce il suo digiuno pregando” (Adriano Nocent, È in crisi l’ascesi quaresimale?, in “Rivista di pastorale liturgica”, n. 14, anno IV, Gennaio 1966, p. 51). La mens della liturgia che celebriamo tiene conto di tutta la vita della Chiesa e le pratiche che da sempre la accompagnano: è evidente che se noi le abbandoniamo anche la liturgia diventa sempre più difficile da comprendere. Possiamo dunque provare a elencare alcuni dei “frutti del digiuno” annunciati dal titolo del nostro prefazio confrontandolo con le altre preghiere liturgiche assegnate alla Quaresima che lo richiamano costantemente: fortifica nel combattimento spirituale quotidiano perché essendo un sacramentale ci da una forza reale, fa crescere nel dominio di sé e di conseguenza aiuta nella riappropriazione della dignità umana sottomessa dalle passioni, favorisce la strutturazione della nostra anima mettendola a contatto con le azioni di Cristo, la privazione volontaria dei beni temporali apre al desiderio di quelli eterni (come descritto nel prefazio II), inoltre favorisce la conoscenza e l’imitazione di Cristo perché, accompagnato dalla parola di Dio, indubbiamente ci fa fare memoria di Gesù che digiuna quaranta giorni nel deserto. Questa sintonizzazione con Gesù è il frutto più grande del digiuno!

 

Accogliere la gioia della presenza di Dio e la possibilità di entrare in relazione con lui, rivedere la scala dei nostri valori, fare di tutta la vita una liturgia, entrare nella bellezza, riscoprire la dinamica sacramentale, l’ampiezza della vita liturgica della Chiesa e la nostra unità originale di anima e corpo… Queste e molte altre sono le consegne che le poesie liturgiche che abbiamo letto ci lasciano, un itinerario prezioso per vivere bene il tempo forte della Quaresima.

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