Martedì 23 maggio 2023

Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.  Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.  Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare.  E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola.  Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te,  perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.  Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro.  Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. (Gv 17, 1-11)
Il capitolo 17 di Giovanni è sicuramente il più espressivo dei sentimenti del cuore di Gesù. Non poteva essere che l’amico intimo del salvatore a poter scrivere parole così accorate. Conclude i discorsi dell’ultima cena ed è denominato: “Il canto del cigno” dal grande esegeta Cornelio a Lapide (Biblista fiammingo, gesuita, 1567-1637). Gesù si rivolge teneramente al Padre quale intercessore, prima di offrire la propria vita come vittima di espiazione dei peccati dell’umanità.  Gesù è sicuramente il primo consolatore, il primo Paraclito. Lo possiamo dire leggendo questo brano in cui “ha pregato tanto per l’unità dei discepoli”. È la preghiera dell’Ultima Cena, dove Gesù ha chiesto tanto: Padre, che siano una cosa sola.  Ha pregato per l’unità, e lo ha fatto proprio nell’imminenza della Passione, quando stava per offrire tutta la sua vita per noi. È quello che siamo invitati continuamente a rileggere e meditare, in una delle pagine più intense e commoventi del Vangelo di Giovanni, il capitolo 17. Com’è bello sapere che il Signore, appena prima di morire, non si è preoccupato di sé stesso, ma ha pensato a noi! E nel suo dialogo accorato con il Padre, ha pregato proprio perché possiamo essere una cosa sola con Lui e tra noi. Ecco: con queste parole, Gesù si è fatto nostro intercessore presso il Padre, perché possiamo entrare anche noi nella piena comunione d’amore con Lui; allo stesso tempo, le affida a noi come testamento spirituale, perché l’unità possa diventare sempre di più la nota distintiva delle nostre comunità cristiane e la risposta più bella a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (1Pt 3, 15). La grande immediata attribuzione luminosa, subito unanimemente riconosciuta nelle prime comunità cristiane, era l’avere “un cuore solo ed un’anima sola” (At 4, 32).   

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