Il pensiero del giorno

Domenica 25 dicembre 2022 – Santo Natale

La nostra riflessione verte sul momento del Natale, per un aiuto a vivere la memoria dell’avvenimento dell’incarnazione di Dio «nella povertà della nostra carne mortale», come dicevano gli antichi.
L’avvenimento di Cristo sta per sempre; l’avvenimento della sua morte e resurrezione è sempre di fronte a noi o, meglio, è sempre dentro la nostra esistenza, definisce la struttura ultima della nostra vita. E’ nello spazio di questa presenza che ci muoviamo, agiamo, assumiamo la nostra responsabilità. La stragrande maggioranza degli uomini, però, fa come se questa presenza non fosse mai esistita, fa come se la “pretesa” dell’Incarnazione di Dio, l’uomo Gesù di Nazaret, non fosse mai avvenuta. Noi dobbiamo solo fare memoria di questo: dobbiamo “rimetterci” dentro questo avvenimento, rivivere questo incontro per averne una coscienza più umanamente densa e, perciò, una responsabilità più grande. O Padre, visita i nostri cuori nella potenza dello Spirito del Signore risorto, facci capire meglio la grazia della nostra vocazione cristiana perché sia più liberamente accolta e quindi più responsabilmente portata.
Sant’Ambrogio scrive: «E’ venuto una volta, due volte, tre volte con i giudei perché facessero frutto, ma non l’hanno fatto: è venuto da noi perché portiamo frutto». E’ necessario avere coscienza della sua presenza nella nostra vita, perché diventiamo segno del suo amore. La carità di Cristo ha il suo compimento nella Pasqua, per cui si osserva il Natale nell’orizzonte di quest’evento, ma secondo un’angolatura tenerissima, senza la quale non si è cristiani. Noi come cristiani esistiamo per Sua scelta! Saremmo stati nel mondo come gli altri, definiti dalle reazioni, dal potere, dai soldi, se non fossimo stati scelti da Dio, in Cristo. La scelta di Cristo è che, per “elezione”, ci è stato dato il battesimo, è che Cristo ha guidato la storia della nostra vita, in modo tale che la nostra origine è stata agganciata alla sua e chiamata a partecipare alla vita della Chiesa. Ci è stato dato di intuire una vita di fede, che coincide con l’unica possibilità di essere pienamente uomini e donne, e ciò deve essere fonte di un duplice motivo di gratitudine: Cristo ci ha voluti nella fede della Chiesa e contemporaneamente nella grazia della nostra comunità ecclesiale.
Se l’elezione è presa sul serio, ci sono due fattori che emergono con assoluta chiarezza: il primo è che la consistenza dell’uomo è un Altro; il secondo è il rifiuto di questa dipendenza. Chiunque guarda a Gesù, avverte un’azione veritativa, un “tonico” dell’anima: mentre ascolti il Signore nel Vangelo scopri te stesso nel gusto della verità, sei in pace perché le cose sono dove sono, stanno dove devono essere e vanno dove devono andare, secondo una saggezza che, Dio ne sia lodato, non è la mia, come dicono le ultime parole del Miguel Manara di Oscar de Vladislas de Lubicz Milosz (1877-1939). Questa suprema convenienza della fede mi fa capire, non senza timore e tremore, che per una cosa così si possa morire, perché è più della vita: «La tua grazia, Signore vale più della vita» (Sal 62,4). Questo permanente stupore nella vita cristiana è una cosa che brucia tutti i “se”, tutti i “ma”, tutti i “forse”, brucia tutti i limiti e le incoerenze: occorre innanzi tutto essere grati, perché è questa presenza che, tenerissima, prende carne a Betlemme e traccia una storia che non passerà mai, che ci libera, che rivela a ciascuno di noi il volto vero della nostra umanità.

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