Il pensiero del giorno

Domenica 23 ottobre 2022 – XXX domenica del Tempo ordinario

Sir 35,15-17.20-22; 2Tm 4,6-8.16-18; Lc 18,9-14


La presunzione di essere giusti

Questa parabola è universalmente nota per la semplicità con cui sono presentati due tipi umani fra loro radicalmente opposti. Da una parte l’uomo umile, consapevole dei propri limiti e delle sue colpe. D’altra l’uomo superbo, che esalta sé stesso e disprezza il prossimo. Il giudizio di Dio è di assoluzione per il primo e di condanna per il secondo.

Il primo e grande insegnamento che ci viene offerto è la condizione di peccato in cui si trovano tutti gli uomini. Nessuno può dichiararsi giusto innanzi a Dio. I santi lo sanno tanto bene. Santa Caterina da Siena riteneva che i suoi peccati fossero la causa della condizione miserevole della Chiesa del Trecento. L’uomo è peccatore e Dio lo rende giusto con la sua grazia. Certo, è necessaria la nostra corrispondenza. Ma anch’essa è sostenuta dall’opera della grazia. L’atteggiamento che devi tenere davanti a Dio è il riconoscimento della tua miseria, cui seguirà la richiesta di perdono e il ringraziamento per la guarigione ricevuta. La presunzione di essere giusto ti preclude il pentimento e il perdono. Resti col tuo male, perché non riconosci di aver bisogno del Medico che può guarire la tua anima.

Il disprezzo degli altri

C’è un peccato che commettiamo spesso, ma quasi mai confessiamo. Si tratta del disprezzo del prossimo. E’ un atteggiamento che Gesù condanna spesso nei farisei, che si ritenevano giusti e spiritualmente superiori agli altri. Il Giudice divino non esita a chiamarli «razza di vipere e sepolcri imbiancati». Si tratta di un atteggiamento di cecità spirituale denso di pericoli. Chi è portato a guardare i peccati degli altri difficilmente vede i propri, oppure vi scende a compromesso e diventa spesso un giustiziere del prossimo.

La preghiera del fariseo inizia positivamente: si reca al Tempio nell’ora della preghiera, quindi ne sente il bisogno e rispetta le norme e la forma che il Signore aveva scelto, esprime gratitudine verso Dio, ma poi «ringrazia di non essere come gli altri uomini», come se lui fosse l’unico giusto. Poi va di male in peggio, perché indica una persona singola innanzi a sé, il pubblicano, e giudica la sua vita, condannandolo senza misericordia. E’ proprio ciò che Dio non vuole che facciamo e tiene solo per sé: il giudizio definitivo sulla vita dell’anima. La preghiera del fariseo esprime solo soddisfazione di sé, non prega, ma si guarda, si contempla, sia ascolta pregare, ma prega rivolto verso se stesso. E’ la soddisfazione tipica di chi si è “fatto da sé”: più che fare l’esame di coscienza, fa l’esame della sua compiacenza.

La preghiera di chi si sente veramente peccatore

La preghiera del pubblicano (i pubblicani erano esattori delle tasse, ladri e collaborazionisti dei Romani) è semplice e intensa. Esprime tre elementi preziosi:

  1. il riconoscimento di Dio come colui che si deve adorare e davanti a cui percepire il proprio nulla;
  2. la confessione della propria condizione di colpa;
  3. la domanda umile e appassionata della divina pietà: O Dio abbi pietà di me peccatore. E’ così preso dal sentimento della grandezza di Dio e dalla consapevolezza della sua miseria che non accenna a nessun confronto col prossimo. Giudica impietosamente sé stesso. Chi prega così è certamente sulla strada della salvezza, e, come dice Gesù, viene perdonato e addirittura esaltato. Non si vanta delle sue colpe e non impone a Dio la sua condotta aberrante, ma chiede la grazia del perdono, impegnandosi a non peccare più. Non pretende un’approvazione delle sue prevaricazioni, ma sollecita umilmente la pietà del Signore. Colui che sarebbe più lontano dall’insegnamento di Cristo è l’uomo che fosse al tempo stesso peccatore come il pubblicano e poi presuntuoso, deciso a non cambiare, come il fariseo.

Il Signore ci aiuti a uscire dalle nostre colpe e, in ogni caso, a saper rivolgere a Dio la preghiera di chi sa di aver sbagliato e confida soltanto nella grande bontà del Padre per poter ricominciare da capo, con animo nuovo, una vita senza macchia.

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