Il Peccato originale

di don Giovanni Poggiali OMME

 

1.Che cos’è il peccato?

Il peccato è essenzialmente il risultato di un’azione libera dell’uomo che tende a percorrere un itinerario di auto salvezza e che consiste nel rifiuto di riferirsi a Dio. Sant’Agostino (354-430) lo definisce come «dictum vel factum vel concupitum contra legem aeternam»[1].

Per l’Antico Testamento il peccato è l’azione negativa compiuta nei confronti di Dio quando si rompe il legame con la sua alleanza. Sono utilizzati svariati termini per indicare questa realtà e il vocabolario è molto ricco. Uno dei significati principali è «mancare il fine». Per l’ebraismo può essere un atto individuale o collettivo che si rivolge non solo a Dio, ma anche al prossimo. Il peccato suppone una previa relazione di amicizia, frutto dell’offerta libera della grazia e dell’amore che Dio fa al suo popolo e agli uomini in generale. Non è una mera trasgressione di una legge esteriore, ma il tradimento di un’amicizia. Il peccato viene a porre fine a una situazione di armonia nella quale il popolo di Israele — e l’umanità in quanto tale — si trova quando vive nella pace di Dio. In fondo, nella sua essenza, l’azione peccaminosa commessa dall’uomo va più in profondità: nasconde, cioè, l’intenzione dell’uomo di sostituirsi a Dio e di fare a meno di Lui.

Nel Nuovo Testamento è presente ampiamente il tema dell’uomo peccatore. Gesù non descrive la natura del peccato, ma la sua preoccupazione è incontrare gli uomini che hanno peccato e offrire loro la misericordia e il perdono di Dio, invitandoli a rivolgersi nuovamente al Padre. Il perdono che Gesù accorda al peccatore merita necessariamente un cambiamento nell’intimo del cuore: la conversione. L’indurimento del cuore e la mancanza di conversione sono i veri ostacoli alla salvezza dell’uomo e all’ingresso nel Regno di Dio annunciato da Gesù.

Dall’insegnamento biblico e dal Nuovo Testamento in particolare si deduce, quindi, che il peccato è la scelta di non orientare l’esistenza a Dio e di consegnare la propria vita agli idoli, producendo la morte, la quale è allontanamento da Dio, che è la Vita, e rinnegamento della condizione di creature. Si deduce anche l’esistenza nel mondo di una forza di peccato che proviene dall’accumulo delle trasgressioni di coloro che ci hanno preceduto e, più in particolare, dal peccato commesso all’inizio della storia, che domina l’esistenza dell’uomo e, in particolare, di coloro che non si sono incorporati a Cristo. Questa forza di peccato e di morte fa sì che tutti gli uomini siano «peccatori», non solo individualmente, ma anche in quanto membri di una umanità peccatrice (cfr. Rm 5,12).

2. Il significato di «peccato originale»

Il peccato commesso all’inizio della storia viene chiarito dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) nella parte di commento della Professione di fede e in particolare del primo articolo del Simbolo Apostolico («Io credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra»). Sono precisati i termini relativi al peccato delle origini riproponendo la dottrina classica dei Padri, in particolare di sant’Agostino d’Ippona e di san Tommaso d’Aquino. In che cosa è consistito questo peccato? «L’uomo, tentato dal diavolo, ha lasciato spegnere nel suo cuore la fiducia nei confronti del suo Creatore [Cf Gen 3,1-11] e, abusando della propria libertà, ha disobbedito al comandamento di Dio. In ciò è consistito il primo peccato dell’uomo [Cf Rm 5,19]. In seguito, ogni peccato sarà una disobbedienza a Dio e una mancanza di fiducia nella sua bontà» (CCC, n. 397). La dottrina del peccato delle origini risulta essere «il rovescio» del Vangelo che è la lieta notizia della salvezza per tutti gli uomini (cfr. CCC, n. 389). Come Cristo è il centro del cosmo e tutto sussiste in Lui e da Lui tutto dipende (cfr. Col 1,17), così il male del peccato si diffonde nella storia sottomettendo a sé la volontà e la ragione dell’uomo. Fondamento biblico della caduta delle origini è il capitolo 3 del libro della Genesi, in cui, attraverso un linguaggio di immagini ma ancorate a un evento primordiale accaduto all’inizio della storia, viene narrata la colpa originale commessa liberamente dai nostri progenitori. La Rivelazione ci dà la certezza che tutta la storia è segnata da questo peccato (cfr. CCC, n. 390).

Cercando di approfondire queste asserzioni, possiamo dire che il peccato originale è il rifiuto dell’uomo a essere immagine di Dio. In Cristo tutto è stato creato e il Verbo incarnato è il fine della creazione (cfr. Col 1,16). Tutta l’umanità è predestinata alla salvezza grazie all’incarnazione del Verbo di Dio in Gesù Cristo. Il Logos incarnato è il mediatore, il primogenito delle creature. Cristo, per citare il card. Giacomo Biffi (1928-2015), è la «causa efficiente» dell’universo e ha una parte nella chiamata all’esistenza di tutte le cose. In Lui viene delineato il punto di partenza di ogni teologia e di ogni riflessione sistematica sulla Rivelazione di Dio nel suo Figlio. Questo progetto, però, ci dice anche che l’uomo può fare a meno di riferirsi a Dio tentando la via dell’auto-salvezza e dando così corpo a un tentativo di divinizzazione, che è lo scopo della creazione dell’uomo, esclusivamente basato sulle proprie forze e senza la grazia di Dio. La famosa frase che il serpente rivolge a Adamo ed Eva nel dialogo che intraprende con loro — nel caso mangiassero dell’albero che sta in mezzo al giardino —: «sareste come Dio conoscendo il bene e il male» (Gn 3,5), in realtà non è una menzogna perché questo è lo scopo dell’amore di Dio per il destino di ogni persona, ma Satana desidera che si realizzi senza la misericordia e gli aiuti di Dio, escludendolo dalla vita di relazione dell’uomo e organizzando così una storia di perdizione e non di salvezza. Il peccato che coinvolge storicamente l’uomo fin dall’origine è svelato proprio nel confronto con l’evento di grazia del Figlio di Dio che si è fatto carne. Nella luce di Cristo e alla luce della sua misericordia, infatti, ogni uomo può compiere il suo cammino di creatura obbedendo al progetto salvifico di Dio, invece, il suo rifiuto lo pone in una logica egoistica dove al posto di Dio trova se stesso e la propria rovina.

Questa possibile negazione della bellezza che Dio vuole per la sua creatura include anche il rifiuto del prossimo perché il peccato è negazione di sé e dell’amore fraterno. Nella Genesi, infatti, scopriamo come fin dalle origini i primi uomini perdono la loro intesa e si accusano (cfr. Gn 3,12). Il peccato diventa contagioso e i legami fraterni si spezzano (cfr. ibid., 4,8-9), fino a ferire ogni tipo di relazione. La colpa crea solitudine e morte e anche il creato ne viene intaccato, con una ricaduta sul contesto sociale come ha spiegato efficacemente san Giovanni Paolo (1978-2005) nell’Esortazione apostolica post-sinodale «Reconciliatio et paenitentia» (RC) del 2 dicembre 1984. Il Papa ricerca la causa profonda di quelle che lui, in altro luogo, chiama le “strutture di peccato” (cfr. Enciclica «Sollicitudo rei socialis», del 30 dicembre 1987, n. 36) e la ritrova nella ferita lacerante che segna in profondità il cuore dell’uomo: «Per quanto tali lacerazioni già ad un primo sguardo appaiano impressionanti, soltanto osservando in profondità si riesce a individuare la loro radice: questa si trova in una ferita nell’intimo dell’uomo. Alla luce della fede noi la chiamiamo il peccato: cominciando dal peccato originale, che ciascuno porta dalla nascita come un’eredità ricevuta dai progenitori, fino al peccato che ciascuno commette, abusando della propria libertà» (RC, n. 2). Bisogna sottolineare, infatti, come la rottura dell’amicizia originale fra l’uomo e il suo Creatore ha luogo con l’intervento della libertà umana: ogni peccato implica la libertà, anche il peccato di origine e non si tratta quindi per l’uomo di un destino fatale.

3. Lo sviluppo storico del «peccato originale»

Delineare lo sviluppo storico del concetto e della terminologia relativa al peccato di origine non è affatto semplice. Prima di Agostino d’Ippona sembra che il tema non sia oggetto d’ampia indagine. Nei Padri greci e latini si trova certamente la descrizione in cui versa l’umanità a causa della trasgressione di Adamo ma anche soprattutto a causa dei peccati personali. Lo stesso avviene nelle questioni legate al battesimo dei bambini trattate dai padri.

Sarà proprio sant’Agostino — a cominciare dal quale anche la dottrina della Chiesa è andata precisandosi, soprattutto nel V secolo, e poi nel XVI secolo in opposizione alla prima tappa della Rivoluzione, il Protestantesimo — che assumerà nei confronti del pelagianesimo (da Pelagio; 360-420) la posizione rimasta classica sulla colpa d’origine, almeno fino ad oggi, nella Chiesa cattolica. Così il Catechismo descrive questa fase: «Pelagio riteneva che l’uomo, con la forza naturale della sua libera volontà, senza l’aiuto necessario della grazia di Dio, potesse condurre una vita moralmente buona; in tal modo riduceva l’influenza della colpa di Adamo a quella di un cattivo esempio. Al contrario, i primi riformatori protestanti insegnavano che l’uomo era radicalmente pervertito e la sua libertà annullata dal peccato delle origini; identificavano il peccato ereditato da ogni uomo con l’inclinazione al male (“concupiscentia”), che sarebbe invincibile. La Chiesa si è pronunciata sul senso del dato rivelato concernente il peccato originale soprattutto nel II Concilio di Orange nel 529 e nel Concilio di Trento nel 1546» (CCC, n. 406).

Sarà, infatti, il Concilio di Trento che, nel Decreto sul peccato originale (quinta sessione: 24 maggio-7 giugno 1546), enuncerà i punti fondamentali per chiarire le questioni relative alla colpa d’origine: la sua esistenza, la provenienza e la trasmissione, la natura e i rimedi. Le proposizioni dottrinali di Trento, che si rifanno al precedente Concilio di Orange II (529) con degli elementi innovativi, costituiscono il vero e proprio dogma del peccato originale. È utile ed interessante leggere il primo canone del decreto che riassume, in pratica, l’essenziale dell’insegnamento in oggetto: «1. Se qualcuno non ammette che il primo uomo Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso all’istante la santità e la giustizia nelle quali era stato stabilito e che, per questo peccato di prevaricazione, è incorso nell’ira e nell’indignazione di Dio, e perciò nella morte, che Dio gli aveva minacciato in precedenza, e, con la morte nella schiavitù di colui “che” poi “della morte ha il potere, cioè il diavolo” (Eb 2,14); e che tutto l’Adamo per quel peccato di prevaricazione fu mutato in peggio sia nell’anima che nel corpo: sia anatema»[2].

In pratica Trento insegna una peccaminosità universale che ha come causa il peccato di Adamo e si trasmette per il fatto di appartenere al genere umano. Il Catechismo del 1992, riguardo a tale trasmissione, afferma che essa rimane un mistero che non possiamo comprendere appieno e aggiunge: «Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali. Per questo il peccato originale è chiamato “peccato” in modo analogico: è un peccato “contratto” e non “commesso”, uno stato e non un atto» (CCC, n. 404).

La teologia contemporanea ha messo in crisi la dottrina tradizionale del peccato originale a partire dall’impostazione della visione sulla persona umana, con i concetti di responsabilità e di soggettività e a partire dalle concezioni sulla stessa origine dell’umanità. La filosofia e diverse scienze sperimentali, con la loro rinnovata visione della persona umana, mettono in discussione una peccaminosità fin dall’origine che sia ereditaria, connessa con la trasmissione di una natura senza un atto di responsabilità personale. Sullo sfondo di queste nuove sollecitazioni culturali, i teologi cercano di cogliere e approfondire sempre di più la verità contenuta nel dogma cristiano e questo non è sempre semplice e lineare.

4. Una possibile sintesi

Memori dell’insegnamento teologico del card. Giacomo Biffi, che ha legato al concetto di «cristocentrismo» gli sforzi della sua riflessione teologica, oggi la teologia sistematica propone come punto di partenza per lo studio del peccato originale e dell’uomo in generale proprio la predestinazione/creazione in Cristo del genere umano, che esprime l’intenzione originaria di Dio della chiamata dell’uomo nel Verbo incarnato — come insegnano le Lettere paoline, in particolare Ef 1,1-14 e Col 1,13-20). La solidarietà di tutti gli uomini in Adamo si iscrive nella solidarietà originaria e antecedente degli uomini in Cristo. Questa solidarietà in Cristo è il senso compiuto del progetto di Dio ed esclude un’auto-salvezza a prescindere da Gesù Cristo. Quindi, secondo la rivelazione, la solidarietà in Adamo è in realtà una complicità nel peccato di Adamo e la predestinazione dell’uomo in Cristo si oppone alla solidarietà nel peccato di Adamo. Quest’ultima è la pretesa di salvarsi senza Cristo, e ciò conduce alla perdizione. Fra peccato di origine e peccati personali, inoltre, c’è uno stret­to legame: questi ultimi manifestano il senso del dramma che deriva dalla colpa d’origine e, nello stesso tempo, attualizzano e diffondono lo stesso peccato originale. Non si può addossare al solo peccato originale originante tutto il peso del male e della miseria nel mondo, perché anche i nostri peccati attuali contribuiscono alla sua diffusione. Non siamo certo agnelli innocenti e le conseguenze del peccato originale originato, di cui portiamo le conseguenze nell’anima a causa della prima trasgressione di Adamo — nostro padre nell’umanità —, vengono alimentate dai nostri peccati personali che incidono su di noi e anche sulle vite degli altri.

Resta, in ogni caso, determinante che il primato e il fine della creazione siano la grazia e la misericordia di Cristo: «Che significato ha la scelta di un Uomo-Dio, al quale tutta la creazione è ordinata? Pare evidente che lo specifico di questo disegno è la volontà di manifestare, prima e più di ogni altra perfezione divina, l’amore misericordioso capace di superare ogni ribellione e vincere ogni durezza»[3].

Si confrontano, così, due visioni teologiche all’interno della Rivelazione: la considerazione del peccato di Adamo trasmesso a tutte le generazioni, il Verbo eterno che si incarna per eliminare questa colpa d’origine e le opere del Diavolo — «amartiocentrismo», da «hamartìa», «prendere una strada sbagliata» nella lingua greca antica, che è tradotto oggi con «peccato» — oppure si considera il progetto divino a partire da Cristo, origine e scopo della creazione, al cui interno vi è la colpa di Adamo, che conduce alla perdita di Dio e che viene inglobata nel progetto più grande della Redenzione senza intaccarne la potenza di salvezza — che quindi non dipende nel suo costituirsi da una mancanza precedente —, che produce una grazia sovrabbondante diffusa nelle membra della Chiesa — «cristocentrismo».

Forse le due immagini non sono da contrapporre, secondo la nota regola cattolica dell’«et, et», ma da tenere insieme e certamente oggi la priorità viene data al cristocentrismo. Il peccato rimane, anche se drammaticamente, una realtà relativa, poiché sulla sua concretezza si erge in assoluto l’opera salvifica e redentiva di Gesù Cristo. Il vero senso del peccato originale è comprensibile solo nell’orizzonte del progetto di predestinazione di Dio alla salvezza in Cristo e alla sua misericordia. Questo non toglie, certamente, la gravità e il peso del peccato nella vicenda umana.

Maria, Madre della Chiesa, concepita senza peccato originale, «segno di sicura speranza e di consolazione»[4], ci guidi nel combattimento e nella lotta quotidiana contro il peccato: «[…] numerosi Padri e dottori della Chiesa vedono nella Donna annunziata nel “protovangelo” la Madre di Cristo, Maria, come “nuova Eva”. Ella è stata colei che, per prima e in una maniera unica, ha beneficiato della vittoria sul peccato riportata da Cristo: è stata preservata da ogni macchia del peccato originale [Cf Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus: Denz.-Schönm., 2803] e, durante tutta la sua vita terrena, per una speciale grazia di Dio, non ha commesso alcun peccato» (CCC, n. 411).

Giovedì, 28 marzo 2024

Per approfondire

Luis F. Ladaria, Antropologia Teologica, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 1995, pp. 226-306.

Giovanni Ancona, Antropologia Teologica. Temi fondamentali, Queriniana, Brescia 2014, pp. 221-257.

Giacomo Biffi, Approccio al cristocentrismo. Note storiche per un tema eterno, Jaca Book, Milano 20212.

Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1992, nn. 385-421.

San Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, vol. XI, Vizi e peccati, I-II, qq. 71-89, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1995.


[1]  «Il peccato è una parola, un’azione o un desiderio contro la legge eterna», cit. in San Tommaso d’Aquino (1225-1274), Summa theologiae, Ia-IIae, q. 71, a.6, ar.1; cfr. altresì Sant’Agostino, Contra Faustum manichaeum, 22,27.

[2] Heinrich Joseph Denzinger (1819-1883), Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. bilingue sulla 43ª edizione, a cura di Peter Hünermann, EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2018, n. 1.511.

[3]  Giacomo Biffi, Approccio al cristocentrismo. Note storiche per un tema eterno, Jaca Book, Milano 20212, p. 48.

[4] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica sulla Chiesa «Lumen gentium», del 21 novembre 1964, n. 68.

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