Il buon samaritano (Lc 10,25-37)

Il Timone, Anno IX n. 62, Aprile 2007
Don Pietro Cantoni

25 Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. 26 Gesù gli disse: “Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?”. 27 Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. 28 E Gesù: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. 29 Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”. 30 Gesù riprese: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappo’ nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. 32 Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33 Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36 Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. 37 Quegli rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

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“Chi è il mio prossimo?” Dopo aver letto la parabola saremmo tentati di dire: quel poveruomo che è incappato nei briganti ed è stato lasciato mezzo morto sul ciglio della strada… Il poveraccio che incontro per strada… Ogni uomo che ha bisogno di me… Non sono di per sé risposte false. Sono però risposte imprecise, perché la conclusione della parabola lascia ben capire che il prossimo è piuttosto “Chi ha avuto compassione di lui”, cioè il Samaritano, cioè – non fatichiamo a capirlo – Gesù stesso. Lo aveva ben capito Ignazio di Loyola, “ossessionato” com’era dalla preoccupazione di seguire Gesù quanto più possibile “da vicino” (Esercizi Spirituali, nn. 98, 130, 147, 344), ossia di godere della sua prossimità. “Aveva deliberato che, una volta sacerdote, sarebbe rimasto un anno senza celebrare la messa per prepararvisi e per pregare la Madonna che lo volesse mettere con il suo Figlio. Un giorno, trovandosi ormai a poche miglia da Roma, mentre in una chiesa faceva orazione, sentì nell’animo una profonda mutazione e vide tanto chiaramente che Dio Padre lo metteva con Cristo suo Figlio da non poter più in alcun modo dubitare che di fatto Dio Padre lo metteva con il suo Figlio” (Il racconto del pellegrino, autobiografia di sant’Ignazio di Loyola, n. 96). “Lo metteva con…” cioè lo poneva vicino a Lui! Il nome stesso dell’ordine da lui fondato la “Compagnia di Gesù” non è, come molti credono, un retaggio del suo passato militare, ma l’espressione di questo suo bruciante desiderio.

Il “prossimo” per antonomasia è dunque Cristo Gesù, il Verbo di Dio incarnato per farsi vicino all’uomo devastato dalle ferite del peccato. “[…] lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino”. In quell’uomo che scende da Gerusalemme – la città di Dio – verso Gerico – la città del demonio – dobbiamo riconoscere noi stessi. La vita dell’uomo è spesso una discesa, come lo è stata all’inizio la storia dell’umanità, nella quale tutti noi siamo coinvolti. Questa “discesa” ci incalza sempre come terribile possibilità, il nostro piede incontra quasi ad ogni passo questo terreno scivoloso… Interpretando autenticamente il senso profondo dell'”aggiornamento” del Concilio ecumenico Vaticano II, Paolo VI si è proprio ispirato a questa parabola, davanti all'”uomo vivo, tutto occupato di sé, l’uomo che si fa non soltanto centro di ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione di ogni realtà […] l’uomo tragico dei suoi propri drammi, l’uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l’uomo infelice di sé che ride e che piange […]; l’uomo rigido cultore della sola realtà scientifica”, all’uomo imbevuto dell'”umanesimo laico profano”, “La religione del Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio”, per cui: “L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso” (Paolo VI, omelia del 7 dicembre 1965 nella 9a sessione del Concilio). L’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico è l’uomo moderno europeo; cercava una libertà senza limiti e ha trovato solo briganti: ideologie come il liberalismo laicista, il nazionalismo, il nazional-socialismo e il comunismo che lo hanno percosso – due guerre mondiali senza precedenti nella storia e una interminabile “guerra fredda” – e quindi riempito di ferite fisiche e morali, provocando un inaudito “disastro antropologico”. I briganti lo hanno spogliato ed abbandonato “mezzo morto”, in preda alla confusione del relativismo, in procinto di perdere anche l’ultima sua protezione sociale, la famiglia. La ferita più grave è però proprio quel sordo e quasi istintivo rifiuto a lasciarsi avvicinare dal “Prossimo”, da Cristo Gesù. Questa malattia si chiama Cristofobia. Per sconfiggerla ci vogliono degli anticorpi: uomini e donne il cui solo desiderio sia di essere vicini a Lui: con la mente, con il cuore e con la vita, e – per mezzo di Lui – riportare Lui nella prossimità dell’uomo ferito del nostro tempo…

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