Domenica 5 maggio 2024

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri» (Giovanni 15,9-17).


Se poniamo l’amore come un comandamento, non lo stiamo forse distruggendo? Generalmente, infatti, si accosta l’amore alla spontaneità, non all’obbligo. Ora, vi sono due generi di comandi: uno viene da una forza esterna, “costrittiva”, l’altro da una mozione interiore, “attrattiva”, come è appunto quella dell’amore. Siamo sempre mossi dall’amore, anche quando sbagliamo l’oggetto dell’amore: se mostri un pallone da calcio a un gruppo di adolescenti, lo slancio conseguente è organizzare due squadre per una partita. L’amore è come un peso dell’anima, che l’attira verso l’oggetto del proprio piacere, in cui sa di trovare il proprio riposo. Esso arriva a essere così esuberante di grazia e di vita eterna, da consentire di perdere la propria vita per gli amici. Se così stanno le cose, perché farne un comandamento?

In questo mondo, dopo il peccato originale, siamo in pericolo di deviare dal Sommo Bene verso altre direzioni fuorvianti. I comandamenti sono un indispensabile ausilio per il nostro bene. Analogamente, perché il matrimonio lega a una fedeltà permanente? Tanti oggi prediligono mille forme di convivenza, pur di non sposarsi. Facciamo ora riferimento al filosofo danese Søren Kierkegaard (1813-1855): «Soltanto quando c’è il dovere di amare, allora soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro ogni disperazione». Parole impegnative, ma che contengono una verità semplice: chi ama vuole amare sempre.

L’amore necessità di un orizzonte eterno, altrimenti è un vezzo passeggero, un moto instabile molto pericoloso. Si carica di responsabilità che poi non mantiene. Ragion per cui, chi ama intensamente intende con chiarezza il pericolo che corre il suo amore; conosce bene l’instabilità del cuore umano. Essendo ora nell’amore, vede la gravità della perdita irreparabile, e si premunisce con un santo vincolo benedetto da Dio. Il dovere sottrae l’amore alla volubilità e lo ancora all’eternità, per cui valido e santo è obbligarsi ad amare per sempre, per rendere l’amore beato e indipendente, cioè proteggerlo dalla disperazione di non poter amare per sempre. Chi ama Dio, è ben lieto di dover amare per sempre. Questo è il comandamento più bello e liberante che esista.

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