Beirut, martedì 2 dicembre 2025. Il Libano, in mezzo alle sue molte tragedie, non ha mai smesso di lodare il Signore. Anche noi dobbiamo imparare a riconoscere il germoglio che cresce all’interno della nostra storia
di Michele Brambilla
Il 3 dicembre non si svolge l’udienza generale per permettere al Santo Padre di riposarsi dopo il lungo viaggio in Turchia e Libano. Ci soffermiamo, quindi, sull’omelia della Messa celebrata il 2 dicembre al Beirut Waterfront, poco lontano dal luogo della gigantesca esplosione del 4 agosto 2020. Papa Leone XIV ci ha tenuto a sottolineare che «al termine di queste giornate intense, che abbiamo condiviso con gioia, celebriamo il nostro rendimento di grazie al Signore per tanti doni della sua bontà», imitando in questo lo stesso Gesù, che nel Vangelo «prega dicendo: “Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra” (Lc 10,21)».
Reduce da un luogo di tragedia, lo stesso Pontefice ha riconosciuto che «la dimensione della lode, però, non sempre trova spazio dentro di noi. A volte, appesantiti dalle fatiche della vita, preoccupati per i numerosi problemi che ci circondano, paralizzati dall’impotenza dinanzi al male e oppressi da tante situazioni difficili, siamo più portati alla rassegnazione e al lamento». Eppure «l’invito a coltivare sempre atteggiamenti di lode e di gratitudine, lo rivolgo proprio a voi, caro popolo libanese. A voi che siete destinatari di una bellezza rara con la quale il Signore ha impreziosito la vostra terra e che, al contempo, siete spettatori e vittime di come il male, in molteplici forme, possa offuscare questa magnificenza».
Il Libano, infatti, è dai tempi della guerra civile che non trova pace. In proposito, il Papa ha citato i diversi elogi che il Libano riceve nelle Scritture. «Il Signore vi ha piantato i suoi alti cedri, nutrendoli e saziandoli (cfr Sal 104,16), ha reso profumate le vesti della sposa del Cantico dei Cantici col profumo di questa terra (cfr Ct 4,11) e a Gerusalemme, città santa rivestita di luce per la venuta del Messia, Egli annuncia: “La gloria del Libano verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi” (Is 60,13)»: allora come oggi, i destini della Terra dei Cedri e della Terra Santa vera e propria sono misteriosamente intrecciati.
La tentazione è quella dello sconforto, «la Parola del Signore, però, ci invita a trovare le piccole luci splendenti nel cuore della notte». Come osserva il Santo Padre nell’omelia del 2 dicembre, «è un’indicazione anche per noi, perché possiamo avere occhi per riconoscere la piccolezza del germoglio che spunta e cresce pur dentro avvenimenti dolorosi. Piccole luci che risplendono nella notte, piccoli virgulti che spuntano, piccoli semi piantati nell’arido giardino di questo tempo storico possiamo vederli anche noi, anche qui, anche oggi», basti pensare «alla vostra fede semplice e genuina, radicata nelle vostre famiglie e alimentata dalle scuole cristiane; penso al lavoro costante delle parrocchie, delle congregazioni e dei movimenti per andare incontro alle domande e alle necessità della gente; penso ai tanti sacerdoti e religiosi che si spendono nella loro missione in mezzo a molteplici difficoltà; penso ai laici come voi impegnati nel campo della carità e nella promozione del Vangelo nella società».
Non si tratta di voler vedere sempre il bicchiere “mezzo pieno”, ma di uno sprone che «deve portarci alla trasformazione del cuore, alla conversione della vita, a considerare che è proprio nella luce della fede, nella promessa della speranza e nella gioia della carità che Dio ha pensato la nostra vita. E, perciò, tutti noi siamo chiamati a coltivare questi virgulti, a non scoraggiarci, a non cedere alla logica della violenza e all’idolatria del denaro, a non rassegnarci dinanzi al male che dilaga», nonostante i risultati possano sembrare molto magri.
«Cari cristiani del Levante, quando i risultati dei vostri sforzi di pace tardano ad arrivare, vi invito ad alzare lo sguardo al Signore che viene! Guardiamo a Lui con speranza e coraggio, invitando tutti a incamminarsi sulla via della convivenza, della fraternità e della pace», ribadendo che «il Medio Oriente ha bisogno di atteggiamenti nuovi, per rifiutare la logica della vendetta e della violenza, per superare le divisioni politiche, sociali e religiose, per aprire capitoli nuovi all’insegna della riconciliazione e della pace. La via dell’ostilità reciproca e della distruzione nell’orrore della guerra è stata percorsa troppo a lungo, con i risultati deplorevoli che sono sotto gli occhi di tutti. Occorre cambiare strada, occorre educare il cuore alla pace». Senza dimenticare altri scenari, «prego in modo speciale per l’amato Libano! Chiedo nuovamente alla comunità internazionale di non risparmiare alcuno sforzo nel promuovere processi di dialogo e riconciliazione. Rivolgo un accorato appello a quanti sono investiti di autorità politica e sociale, qui e in tutti i Paesi segnati da guerre e violenze: ascoltate il grido dei vostri popoli che invocano pace! Mettiamoci tutti al servizio della vita, del bene comune, dello sviluppo integrale delle persone».