Mercoledì 3 settembre 2025. Non c’è nulla di più divino nell’uomo del riconoscere di non bastare a se stesso
di Michele Brambilla
Papa Leone XIV incentra l’udienza del 3 settembre su due verbi pronunciati dal Signore al momento della sua crocifissione. Infatti «nel cuore del racconto della Passione, nel momento più luminoso e insieme più tenebroso della vita di Gesù, il Vangelo di Giovanni ci consegna due parole che racchiudono un mistero immenso: “Ho sete” (19,28), e subito dopo: “È compiuto” (19,30)». Sono «parole ultime, ma cariche di una vita intera, che svelano il senso di tutta l’esistenza del Figlio di Dio».
Come osserva il Pontefice, «sulla croce, Gesù non appare come un eroe vittorioso, ma come un mendicante d’amore. Non proclama, non condanna, non si difende. Chiede, umilmente, ciò che da solo non può in alcun modo darsi», essendo le mani inchiodate al patibolo. Ma «la sete del Crocifisso non è soltanto il bisogno fisiologico di un corpo straziato. È anche, e soprattutto, espressione di un desiderio profondo: quello di amore, di relazione, di comunione. È il grido silenzioso di un Dio che, avendo voluto condividere tutto della nostra condizione umana, si lascia attraversare anche da questa sete» umanissima, dal significato molto profondo, da cui emerge l’immagine di «un Dio che non si vergogna di mendicare un sorso, perché in quel gesto ci dice che l’amore, per essere vero, deve anche imparare a chiedere e non solo a dare».
A questo punto siamo in grado di interpretare anche l’altro verbo, l’«è compiuto». «Gesù proclama: È compiuto. L’amore si è fatto bisognoso, e proprio per questo ha portato a termine la sua opera» di redenzione. L’uomo precipita nel peccato proprio quando pretende di auto-normarsi, mentre «la salvezza non sta nell’autonomia, ma nel riconoscere con umiltà il proprio bisogno e nel saperlo liberamente esprimere», commenta il Papa.
Quindi «il compimento della nostra umanità nel disegno di Dio non è un atto di forza, ma un gesto di fiducia. Gesù non salva con un colpo di scena, ma chiedendo qualcosa che da solo non può darsi. E qui si apre una porta sulla vera speranza: se anche il Figlio di Dio ha scelto di non bastare a sé stesso, allora anche la nostra sete – di amore, di senso, di giustizia – non è un segno di fallimento, ma di verità» su noi stessi. Il Santo Padre non può non evidenziare che «viviamo in un tempo che premia l’autosufficienza, l’efficienza, la prestazione. Eppure, il Vangelo ci mostra che la misura della nostra umanità non è data da ciò che possiamo conquistare, ma dalla capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare», ovviamente a vivere.
«La sete di Gesù sulla croce è allora anche la nostra. È il grido dell’umanità ferita che cerca ancora acqua viva. E questa sete non ci allontana da Dio, piuttosto ci unisce a Lui. Se abbiamo il coraggio di riconoscerla, possiamo scoprire che anche la nostra fragilità è un ponte verso il cielo. Proprio nel chiedere – non nel possedere – si apre una via di libertà perché smettiamo di pretendere di bastare a noi stessi»: l’illusione dell’autodeterminazione è, in fin dei conti, una prigione fabbricata dal nostro egocentrismo.
Imparare, quindi, umilmente a chiedere, come i bambini a scuola, per crescere nella vera sapienza, come Leone XIV suggerisce ai pellegrini polacchi. Le scuole riprendono questo mese in quasi tutto l’Occidente. Il Papa pone davanti a discenti e docenti i modelli «dei Beati, e presto Santi, Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis», a cui chiedere «il dono di una fede profonda».
Il Pontefice sollecita poi la comunità internazionale ad intervenire in Darfur (Sudan), dove alle tragedie della guerra civile si aggiungono quelle dei disastri naturali. «È tempo», infatti, «di avviare un dialogo serio, sincero e inclusivo tra le parti, per porre fine al conflitto e restituire al popolo del Sudan speranza, dignità e pace».