Il Signore della pace ha bisogno dell’uomo

Giovedì 25 dicembre 2025, S. Natale. Dio, che ci ha creati senza di noi, non ci salverà senza di noi. La pace potrà venire solo mettendosi nei panni degli altri, ovvero riconoscendo la comune origine del genere umano, che è l’amore di Dio, pienamente visibile nell’Incarnazione del Figlio

di Michele Brambilla

Nel messaggio Urbi et Orbi del Natale 2025 Papa Leone XIV evidenzia le parole stesse della liturgia: «“Rallegriamoci tutti nel Signore: il nostro Salvatore è nato nel mondo. Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo” (Antifona d’ingresso alla Messa della notte di Natale). Così canta», infatti, la Messa della Notte di Natale. «Il Verbo eterno del Padre, che i cieli non possono contenere ha scelto di venire nel mondo così. Per amore ha voluto nascere da donna, per condividere la nostra umanità; per amore ha accettato la povertà e il rifiuto e si è identificato con chi è scartato ed escluso», in modo che nessuno possa dire che Dio è lontano da lui. 

«Nel Natale di Gesù già si profila la scelta di fondo che guiderà tutta la vita del Figlio di Dio, fino alla morte sulla croce: la scelta di non far portare a noi il peso del peccato, ma di portarlo Lui per noi, di farsene carico. Questo, solo Lui poteva farlo. Ma nello stesso tempo ha mostrato ciò che invece solo noi possiamo fare, cioè assumerci ciascuno la propria parte di responsabilità»: è inutile lamentarsi che le cose vadano male se per primi contribuiamo a rendere il mondo più buio, «perché Dio, che ci ha creato senza di noi, non può salvarci senza di noi (cfr S. Agostino, Discorso 169, 11. 13), cioè senza la nostra libera volontà di amare. Chi non ama non si salva, è perduto. E chi non ama il fratello che vede, non può amare Dio che non vede (cfr 1Gv 4,20)». 

Il Papa rimarca che «Gesù Cristo è la nostra pace prima di tutto perché ci libera dal peccato e poi perché ci indica la via da seguire per superare i conflitti, tutti i conflitti, da quelli interpersonali a quelli internazionali. Senza un cuore libero dal peccato, un cuore perdonato, non si può essere uomini e donne pacifici e costruttori di pace. Per questo Gesù è nato a Betlemme ed è morto sulla croce: per liberarci dal peccato. Lui è il Salvatore. Con la sua grazia, possiamo e dobbiamo fare ognuno la propria parte per respingere l’odio, la violenza, la contrapposizione e praticare il dialogo, la pace, la riconciliazione». Perdona chi ha provato, a propria volta, la gioia del perdono: il problema grande dei potenti della nostra epoca è che fanno i conti come se l’altro non condividesse con loro la medesima natura umana, i medesimi desideri di pace ed amore. 

«In questo giorno di festa, desidero inviare un caloroso e paterno saluto a tutti i cristiani, in modo speciale a quelli che vivono in Medio Oriente»: durante il recente viaggio apostolico «Ho ascoltato le loro paure e conosco bene il loro sentimento di impotenza dinanzi a dinamiche di potere che li sorpassano. Il Bambino che oggi nasce a Betlemme è lo stesso Gesù che dice: “Abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33)». Per tutti rimane l’antico monito: «Praticare la giustizia darà pace. Onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre» (Is 32,17).

Il Pontefice lo ricorda all’Europa, pregando il Signore «di continuare a ispirarvi uno spirito comunitario e collaborativo, fedele alle sue radici cristiane e alla sua storia, solidale e accogliente con chi si trova nel bisogno. Preghiamo in modo particolare per il martoriato popolo ucraino: si arresti il fragore delle armi e le parti coinvolte, sostenute dall’impegno della comunità internazionale, trovino il coraggio di dialogare in modo sincero, diretto e rispettoso» nei confronti gli uni degli altri. 

Leone XIV non pensa solo agli scenari più noti, ma chiede «pace e consolazione per le vittime di tutte le guerre in atto nel mondo, specialmente di quelle dimenticate; e per quanti soffrono a causa dell’ingiustizia, dell’instabilità politica, della persecuzione religiosa e del terrorismo. Ricordo in modo particolare i fratelli e le sorelle del Sudan, del Sud Sudan, del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Democratica del Congo», per i quali ben pochi muovono le piazze. I media occidentali non parlano praticamente mai di Haiti, per la quale il Papa implora che «cessi ogni forma di violenza nel Paese e possa progredire sulla via della pace e della riconciliazione» dopo decenni di sanguinosa anarchia. 

Non è priva di tensioni politico-militari anche l’America Latina: il Bambino Gesù guidi i suoi governanti a dare «spazio al dialogo per il bene comune e non alle preclusioni ideologiche e di parte». Cambiando continente, ma non tipologia di regime (comunista), il Papa cita il Myanmar, affinché Gesù «ridoni speranza alle giovani generazioni, guidi l’intero popolo birmano su sentieri di pace e accompagni quanti vivono privi di dimora, di sicurezza o di fiducia nel domani. A Lui chiediamo» anche «che si restauri l’antica amicizia tra Tailandia e Cambogia e che le parti coinvolte continuino ad adoperarsi per la riconciliazione e la pace».

«Nel farsi uomo, Gesù assume su di sé la nostra fragilità, si immedesima con ognuno di noi: con chi non ha più nulla e ha perso tutto, come gli abitanti di Gaza; con chi è in preda alla fame e alla povertà, come il popolo yemenita; con chi è in fuga dalla propria terra per cercare un futuro altrove, come i tanti rifugiati e migranti che attraversano il Mediterraneo o percorrono il Continente americano; con chi ha perso il lavoro e con chi lo cerca, come tanti giovani che faticano a trovare un impiego; con chi è sfruttato, come i troppi lavoratori sottopagati; con chi è in carcere e spesso vive in condizioni disumane», elenca ancora il Santo Padre. L’invocazione di ogni uomo sofferente bussa «al cuore di Dio» facendo sue le parole di un poeta ebreo (Y. Amichai, “Wildpeace”, in The Poetry of Yehuda Amichai, Farrar, Straus and Giroux, 2015): «Non la pace di un cessate-il-fuoco,/ nemmeno la visione del lupo e dell’agnello», ma un dono dal Cielo «che venga/ come i fiori selvatici,/ all’improvviso, perché il campo/ ne ha bisogno». Un dono come quello di Gesù, che «non viene per condannare, ma per salvare; la sua non è un’apparizione fugace, Egli viene per restare e donare sé stesso. In Lui ogni ferita è risanata e ogni cuore trova riposo e pace». 

A gennaio si chiuderanno le Porte Sante, ma il messaggio di pace del Giubileo, che è l’annuncio gioioso del Natale stesso, continua la sua corsa nel mondo se noi per primi diventiamo testimoni di Cristo. Il Natale «è festa della fede, perché Dio diventa uomo, nascendo dalla Vergine. È festa della carità, perché il dono del Figlio redentore si avvera nella dedizione fraterna. È festa della speranza, perché il bambino Gesù la accende in noi, facendoci messaggeri di pace. Con queste virtù nel cuore, senza temere la notte, possiamo andare incontro all’alba del giorno nuovo» accendendo lumi nel buio, come detto sempre dal Santo Padre nell’omelia della Messa nella Notte santa. 

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