Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”. Allora i discepoli gli domandarono: “Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?”. Ed egli rispose: “Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro”. Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista (Mt 17,10-13).
Gesù aveva dato più volte agli Apostoli l’annuncio della sua condanna a morte sulla croce come un malfattore. E aveva detto loro che solo dopo avrebbe avuto il trionfo della Risurrezione. Per incoraggiarli ad essere fermi nella fede in lui e non dubitare della sua divinità, volle dare anche una manifestazione della sua gloria. Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Li conduce sul monte Tabor e davanti a loro si trasfigurò. Il suo volto divenne splendente come il sole, le sue vesti candide come la neve e apparvero Mosé ed Elia come testimoni che confermavano quanto era stato detto su di lui nell’Antico Testamento. La visione della gloria di Gesù fu di paura, ma anche di grande consolazione per i discepoli che, immersi nella gioia, udirono la conferma e il comando del Padre: “Questi è il mio Figlio diletto ascoltatelo” (Mt 17,5; Mc 9,7; Lc 9,35. Cfr. Sal. 2,7; Deut. 18,15; Is. 42,1). La visione di paradiso era finita. Mosé ed Elia erano scomparsi. Gesù, rimasto solo con i tre futuri apostoli, immersi nell’adorazione del mistero, li chiama a scendere con lui dal monte e raccomanda loro di non dire nulla a nessuno di quanto avevano visto e udito finché non fosse risuscitato dai morti. Ora ci sono tutti i motivi per fidarsi pienamente di Gesù senza lasciarsi confondere dalle arbitrarie, meramente soggettive, ormai superate, spiegazioni esegetiche degli scribi. Infatti questi ultimi dovranno sapere, a tempo debito, che Elia è già intervenuto in persona con la sua autorevole testimonianza, ma anche nella persona di Giovanni Battista che con il sacrificio della sua vita ha portato a compimento la testimonianza dell’antico profeta ed ha annunciato il mistero della morte e risurrezione di Gesù, ossia il suo Sacrificio d’Amore portato alla perfezione infinita con il dono totale di sé che realizza il vero amore in tutti i credenti con la potenza misteriosa della croce di Cristo.
Pertanto il “soffrire” appartiene al figlio dell’uomo (Mt 16,21) e passerà ad indicare la sofferenza di Paolo e di tutti i cristiani (At 9,16; 2Cor 1,5-7) in relazione sempre alla passione e morte di Cristo (2Cor 4,1012). Nel volgere del tempo, come già i primi cristiani, anche noi sappiamo che per entrare nel regno di Dio bisogna passare attraverso molte tribolazioni (At 14,22). Perciò non dimentichiamo che la vera sequela del nostro Salvatore Gesù Cristo passa attraverso la via maestra della croce: “se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24; Lc 9,23). Questa lezione è sempre attuale e ci libera da quello “spirito del mondo” che, com’è stato autorevolmente smascherato, continua a causare una mentalità liberale, sempre pronta al compromesso, fautore del libertinismo e dunque della decadenza della civiltà. Il nostro nobile compito storico è quello di alzare, di fronte al materialismo dilagante, il vessillo della croce salutifera con umiltà, coraggio e devozione. Torneranno i tempi belli, pur sempre nei limiti di questo mondo che passa, della grazia e della civiltà, della verità, della giustizia e della santità.