Domenica, 21 dicembre 2025

Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo! (Rom 1,1-7)


Nel mondo antico le lettere erano aperte da un saluto del mittente al destinatario. Anche le lettere degli Apostoli seguono questa regola. Il saluto della Lettera di San Paolo ai Romani, però, è dotato di una particolare solennità, espressa dall’ampiezza del saluto e dalla densità del vocabolario teologico. Sapientemente la liturgia della Chiesa ne propone la lettura nella IV domenica di Avvento, perché in questo prologo si riassume non solo il messaggio dell’intera lettera ai Romani, il capolavoro teologico di Paolo, ma il Vangelo stesso: Gesù Cristo, menzionato per quattro volte in poche righe, è Colui che la Chiesa annuncia incessantemente ai vicini e ai lontani, ai credenti e ai non credenti. Egli è veramente e pienamente uomo, al punto da essere discendente “secondo la carne”, un semitismo che indica umanità, della famiglia del re Davide, ed è veramente e pienamente Dio, perché “Figlio” che sta accanto al Padre, come suggeriscono le parole finali di questo saluto. Dio che si fa uomo nella storia: questo è il Mistero dell’Incarnazione che rende il Cristianesimo unico in tutta la storia delle religioni e irriducibile a ogni altra tradizione religiosa. Per questo motivo i cristiani celebrano il Natale con solennità e con gioia e sanno che non è stato Dio a volere la pluralità delle religioni, frutto invece delle culture religiose dei popoli. Egli ha mandato il Suo Figlio per “suscitare all’obbedienza della fede” tutti i popoli. Sta qui l’incessante e ineludibile azione missionaria della Chiesa universale, animata e sorretta anche in questa sua ministerialità, dalla Chiesa di Roma il cui primato emerge anche dalla deferenza con la quale Paolo si rivolge a essa: i cristiani di Roma nel tempo in cui Paolo scrive erano poche centinaia su una popolazione complessiva di oltre un milione di abitanti. Eppure, la dignità della Chiesa di Roma si staglia per la sua origine petrina e paolina. A essa guardiamo in questi giorni perché il decoro e la maestà della sua liturgia papale possa ispirare anche il nostro culto a Dio e dal Successore di Pietro giunga la benedizione “urbi et orbi”: questo povero mondo ne ha tanto bisogno. E anche le nostre anime perché siano sempre e solo irrorate di Grazia.

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