Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,41-44).
Il Salvatore Gesù, la sera dopo la festosa, spontanea e incoercibile accoglienza da parte della folla di Gerusalemme come umile re di gloria, lascia nel tempio i sommi sacerdoti e gli scribi e va verso Betania ove trascorre la notte. Al mattino tornando in città, vedendola a distanza dal monte degli Ulivi, piange su di essa dando accorata e commossa motivazione: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi”. Gesù aveva pianto sin da bambino appena nato (cfr. Sp 7,3). Scoppiò in pianto d’amore davanti alla tomba dell’amico Lazzaro morto da quattro giorni. Offrirà con riverenza preghiere e suppliche con forti grida e lacrime, con le quali ottenerrà la vittoria sulla morte (cfr. Eb 5,2). Piange ora, come già detto, alla vista della città santa, perché essa non solo uccideva i profeti e lapidava tutti quelli che le erano mandati, ma anche perché con i suoi capi opponeva resistenza alla sua amabile cura con cui intendeva raccogliere i suoi figli riducendosi ormai ad una casa abbandonata (cfr. Lc 13,34s). Sì, il Salvatore piange, come testimonia anche la località denominata “Dominus flevit” sul monte degli Ulivi, di commozione e di dolore perché la città si ostina ancora a non riconoscere il significato decisivo del giorno del suo recentissimo ingresso nella città santa allorché pure i piccoli manifestavano l’attuazione delle profezie messianiche che lo riguardavano (cfr. Mt 21,16). Il Salvatore dunque piange sulla città santa non per l’imminente passione e morte sulla croce che gli sta preparando, ma per la sua resistenza ad immergersi nella santità cui è chiamata con la fede in lui.
Pertanto, come entrando nella terza settimana degli Esercizi ignaziani con la contemplazione della passione del Signore, chiediamo il dono delle lacrime interne ed esterne con il dolore e la contrizione nei nostri cuori per riparare o alleviare l’ingratitudine dei peccati e delle offese di tutti i tempi al Cuore di Gesù che intanto ci attende bussando al cuore di ciascuno a costo anche di tante umiliazioni. Uniamoci al pianto di Gesù. Per noi, poveri peccatori è necessario, come egli stesso disse alle donne sulla via del Calvario, piangere su noi stessi e sui nostri figli, perché se trattano così il legno verde, il legno secco non potrà aspettarsi altro trattamento (cfr. Lc 23, 28,31).
Questo pianto cristiano è certamente, tra l’altro, molto più significativo e direi più utile e conducente anche per la soluzione dei problemi bimillenari della convivenza di popoli diversi in Terra Santa. Qui infatti, com’è noto, il pellegrinaggio armato di qualche Crociata ha potuto favorire sia pure drammaticamente, tempi di pace. Invece certe attuali strategie ideologiche laiche, variamente etichettate, se da una parte fermano, sia pure tragicamente, la violenza aggressiva, dall’altra alimentano demagogicamente l’odio, secondo vecchi e assurdi schemi dialettici che provocano volutamente guerriglie e focolai di odio in caduta libera pericolosa per le istituzioni.
Ma, come già ai piedi della croce, anche in questi frangenti il nostro sostegno è la Beata Vergine Maria. Uniti al pianto dell’Addolorata, Madre della Pietà, Madre di Dio e Madre nostra, troviamo coraggio e speranza e restiamo sempre uniti per gustare le lacrime di gioia e di vittoria dell’amore umile e devoto sul disamore superbo e ribelle del peccato.