Domenica 2 aprile 2023

A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”. E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: “Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!”. Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”. Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatea, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria. Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”. Pilato disse loro: “Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete”. Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie. (Mt 27, 45-66)


In questa domenica che precede la Pasqua la Chiesa invita i fedeli alla meditazione della passione di Gesù. Nessun’altra pagina della Bibbia rivela con pari profondità il mistero di Dio e dell’uomo. Solo chi ha la grazia di entrare nell’immensa sofferenza di Gesù può comprendere, sia pure come attraverso uno spiraglio, l’infinito amore con cui siamo amati. Chi vuole sapere chi sia Dio nella sua smisurata carità e chi sia l’uomo nella sua abissale miseria, si soffermi a meditare queste pagine immortali. Fissiamo lo sguardo innanzitutto sulla sua preghiera. Nel momento dell’indicibile dolore Gesù prega con un’intensità che ci lascia attoniti. Chiede al Padre la forza di bere il calice amaro delle totali sofferenze dell’umanità. Dall’alto della croce invoca il perdono per i suoi carnefici.

La passione è avvolta da un grande silenzio interiore. Le parole che Gesù pronuncia sembrano uscire da un’altissima contemplazione dell’anima. Ognuna di esse apre orizzonti sconfinati. Nel Getsemani Gesù vede l’apostolo che sta consumando il tradimento e con esso rovina la sua anima. Il suo sguardo di infinita compassione e dolore si posa su di lui e dal suo cuore esce la parola che è un’invocazione: “Amico!”. Così è di tutte le parole pronunciate da Gesù nella passione. Ognuna di esse sgorga dalla sorgente della preghiera e dell’amore. Nell’afflizione, nell’incomprensione e nella persecuzione Gesù ti insegna a tacere, a offrire e ad amare. La fragilità fisica di Gesù che lo ha condotto a morire prima del tempo previsto, è sostenuta da una potenza soprannaturale irresistibile. Dalla sua bocca non un lamento, non un grido di aiuto, non un cenno di resa, non una imprecazione, non una maledizione. Non temere le avversità e le prove della vita. La forza di Dio risplende nella nostra debolezza. (cfr. L. Fanzaga – Pietre vive – p. 107-109)

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