Sabato, 15 novembre 2025

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». (Lc 18, 1-8)


Quante volte accade che dopo essere caduti in basso, in emerite trivialità, una persona abbia un risveglio intuendo che ciò non è per sé, ciò che spetta veramente, come capita nel racconto del figliol prodigo che dopo essere caduto in basso dice: “Quanti salariati ha mio padre in casa con pane in abbondanza e io che sono suo figlio muoio di fame”. Questa è intuizione della bellezza della vita, di non poter vivere nell’odio e nell’avarizia, non poter vivere nella meschinità e nella mediocrità. Ci spetta una vita grande e abbiamo un nemico fondamentalmente interiore. L’uomo deve pregare perché ha un nemico con attributi angelici rivolti al male e perché ha diritto ad una vita grande. Quando ho percezione della mia esistenza come una vita nobile e vedo che sto scivolando nell’infimo, allora ho capito che devo chiedere giustizia, devo bussare alla porta di Dio, devo insistere, devo combattere perché non mi posso accontentare di una vita piccola. Quando in un matrimonio si perde la forza di combattere contro tutte le tentazioni di abbassare il livello di un matrimonio stesso e si entra nel modus vivendi del lasciar perdere, lasciar stare, dell’ipocrisia, così si entra nella sciatteria e si è allora persa la coscienza del nemico e l’intuizione della giustizia. Prega chi sa cosa gli spetta, chi sa di aver un nemico e ognuno deve conoscere il proprio nemico; ognuno di noi abbia una percezione della giustizia e possa così capire per confronto qual è l’istanza che lo svuota, che lo rende povero, lo rende meno di sé stesso. Ognuno di noi deve crescere nella vita spirituale capendo qual è il suo nemico. La fede non si perde quando uno la concepisce come diritto alla bellezza e come un combattimento. Il buon combattimento della fede si erge vincente contro quei pensieri infantili che ci portiamo dietro tutta la vita, contro quelle mediocrità che troviamo intorno a noi, contro quel lasciarsi andare a cose basse indegne di un’anima battezzata. Questa parabola ci dona la chiave dello slancio nello zelo della preghiera, con l’intuizione della grandezza e dei pericoli. Questa insistenza è il combattimento che non ci farà perdere mai la fede.

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