La storicità di Cristo nei Vangeli

di don Pietro Cantoni

(Intervento tenuto a Roma il 28 maggio 2005 all’interno della Giornata di Studi 2005 dei Centri Culturali Amici del Timone dal titolo “Gesù Cristo: la verità della storia”)

1. “Ma è successo veramente?” Questa domanda per il cristianesimo è capitale. Per altre religioni e visioni del mondo non è così. Che il Buddha sia veramente esistito in fondo importa poco. Quello che conta è che la sua dottrina sia vera, cioè che, seguendola, si possa entrare nel “Nirvana”. Poco importa quello che hanno veramente detto e fatto Carlo Marx o Vladimir Ilič Ulianov detto “Lenin” o Giuseppe Stalin, ciň che conta è che il comunismo trasformi il mondo. Questi fatti possono cioè essere idealizzati, manipolati, trasformati, magari proprio al servizio della “causa”, senza che questa ne venga troppo scossa.

Uno potrebbe dire: in fondo che cosa mi interessa se veramente Gesù è nato a Betlemme, se veramente aveva una madre chiamata Maria, se veramente ha percorso le vie della Palestina, è salito sulle barche dei pescatori del lago di Galilea? Se veramente è stato messo in croce? Se tutta quella storia di morte e risurrezione descriva proprio dei fatti o sia soltanto un “mito”? [1] Ciò che conta è il “messaggio” di Gesù: “ama il prossimo tuo come te stesso” o altre massime sublimi dello stesso genere. Che la persona di Gesù di Nazaret, così come ci è descritta dai Vangeli, abbia una sua corposità storica non è molto importante. Anche se fosse una finzione, sarebbe pur sempre uno splendido modello da imitare, così che se non ci fosse andrebbe inventato! Cerchiamo di imitarlo e basta!

Chi ragionasse così avrebbe frainteso il cristianesimo nel modo più radicale. E infatti questo fraintendimento non è nuovo, ma ha una lunga storia. Fin dalle primissime origini del cristianesimo, alcuni, gli “gnostici” [2] hanno preteso di trasformare il fatto cristiano in un complicato sistema di miti e di simboli [3]. Contro questo pericolosissimo fraintendimento dovette già lottare la primitiva comunità cristiana. “Molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo” (1 Gv 4, 1-3). La gnosi è la prima delle eresie [4] e accompagna il cristianesimo lungo tutta la sua storia come una tentazione costante.

Per lo gnostico il cristianesimo è innanzitutto una dottrina. Il fatto si riduce a qualcosa di secondario, di soltanto decorativo e strumentale. Per il cristiano invece l’essenziale è una persona e un fatto: “Gesù Cristo è venuto nella carne”, cioè è realmente entrato nella storia degli uomini. La sua venuta è un avvenimento. La lotta contro la gnosi (come in genere contro le eresie) non è per il cristianesimo una questione accademica, soltanto speculativa, ma è una questione di vita o di morte. Se non è avvenuto nulla nella storia, e se non è avvenuto come è narrato nei Vangeli, allora nulla di simile neppure può avvenire dentro di me, dentro la mia storia. E’ importante sapere che cosa si deve fare, ma più importante ancora è essere capaci di farlo: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,11-12). I primi cristiani hanno diffuso l’annuncio di un fatto. Euangelion vuol dire buona notizia, annuncio di un fatto gioioso (nel significato antico: di una vittoria). Senza fatto non c’è Vangelo, quindi non c’è Cristianesimo.

2. Questo fatto, essendo l’avvenimento di Dio che si fa uomo per la nostra salvezza, può essere colto compiutamente solo con la fede. Dio e i suoi disegni non possono infatti essere racchiusi nella nostra mente. Un Dio che si lasciasse “inscatolare” nelle nostre idee non sarebbe più Dio. Ma in quanto fatto ha una sua corposità storica e quindi può esser colto anche con la ragione. Anche, non solo.

Per capire come la storia di Gesù è accessibile alla ragione umana è molto utile interrogare proprio la storia e ripercorrere, anche se molto schematicamente, le vicende della ricerca moderna sulle origini del Cristianesimo.

Fino al 1700, cioè fino all’epoca detta dei “lumi” [5] nessuno mette in discussione il valore storico dei Vangeli. Anche le voci critiche provenienti dal paganesimo (Celso) o dal giudaismo (Talmud) non sollevano questo problema. Ma a partire dal 1778, anno in cui Lessing pubblica un manoscritto di Reimarus dal titolo Dello scopo di Gesù e dei suoi discepoli, le interpretazioni, le ipotesi e le teorie si moltiplicano. Alla ricerca di una spiegazione “scientifica”, cioè in cui tutto sia riportato al livello della ragione, si ricorre dapprima alla spiegazione della frode, per cui tutto si ridurrebbe ad un inganno architettato dai discepoli (Reimarus), quindi a quella naturalistica, per cui tutti i fatti si spiegano in modo naturale (Paulus) [6], poi a quella del mito (Strauss) per cui Gesù è un personaggio ideale e non storico [7] e alla stessa conclusione, anche se con una teoria diversa, arriva anche F.Ch. Baur. Nel 1892 M. Kähler conia una formula che avrà molto successo: il Gesù storico e il Cristo della fede. Un conto è il Gesù della storia e un conto è l’idealizzazione della sua figura operata dalla Chiesa. Le teorie si susseguono e la stessa loro molteplicità e contraddittorietà è un chiaro segno che i loro fondamenti sono inconsistenti. Si arriva così fino a Bultmann (1884-1976), uno dei massimi esponenti del metodo detto della Formgeschichte (Storia delle forme), che giunge a scrivere, nel 1951: “Noi non possiamo sapere niente sulla vita e la personalità di Gesù, perché di ciò non s’erano interessate le fonti cristiane”. Gli stessi discepoli di Bultmann però hanno reagito e oggi l’indirizzo dominante nei confronti della storicità dei Vangeli è molto diverso. Si sente un po’ ovunque il disagio davanti a metodi che si sono rivelati eccessivamente arbitrari e soggettivi. Quello che balza agli occhi infatti in tutta questa storia è come la parvenza di obiettività scientifica celi dei pregiudizi fortemente radicati. Oggi ci si è resi conto che l’assoluta obiettività storica – cioè la pretesa che dei fatti parlino da soli senza dover essere necessariamente interpretati alla luce anche di una corretta filosofia – è un’illusione. Lo storico opera sempre una scelta nei documenti e nei fatti e interpreta sempre alla luce di una determinata visione del mondo. Così ciò che è stato determinante nella storia dell’esegesi “critica” non è stato tanto il normale progresso scientifico delle scienze storiche, quanto l’influsso di idee filosofiche e teologiche [8]. Queste idee si possono ridurre a due: una viene dall’indirizzo immanentistico della filosofia moderna, per cui tutto esiste per l’uomo ed è l’uomo a dargli senso. Da cui la refrattarietà ad ammettere interventi esterni: Rivelazione e miracoli non sono più ammissibili [9]. L’altra da un certo modo di concepire la fede tipico del protestantesimo (questo tipo di esegesi si è sviluppato soprattutto in ambiente protestante), per cui si riduce al “mio credere”. Ciò che conta è credere non che cosa credere. Ecco perché Bultmann, nonostante le conclusioni drastiche a cui era giunto, poteva continuare a considerarsi un credente…

La pretesa di costringere Gesù nei limiti della sola ragione conduce ad un risultato paradossale: il Gesù della storia si allontana fin quasi a scomparire, mentre al suo posto vengono avanti figure tutte diverse: Gesù rivoluzionario, Gesù maestro di morale, Gesù annunciatore di una nuova era… La cui dottrina però sembra riflettere solo le idee dominanti nell’epoca dello studioso che le propone.

Oggi è invalso l’uso di suddividere la “ricerca sul Gesù storico” in tre fasi, individuando una prima, seconda e terza ricerca.

La prima ricerca o “vecchia ricerca” (Old Quest) è quella che va dall’Illuminismo, momento di nascita – come abbiamo visto – di tutta la problematica, fino a Bultmann (1778-1906). Con Bultmann essa giunge ad una conclusione di radicale pessimismo.

La seconda fase o New Quest (1953-1975) prende l’avvio dai discepoli di Bultmann che reagiscono al pessimismo del maestro riconquistando ampi spazi della dimensione storica di Gesù sia a livello teologico che a livello di ricerca storica. Il punto di partenza è costituito senz’altro da un articolo di Ernst Käsemann (Das Problem des historischen Jesu, in “Zeitschrift für Theologie und Kirche” LI [1954], pp. 125-153).

Nella terza fase (Third Quest) siamo immersi oggi, con aspetti positivi (accentuata fiducia nella possibilità di lavorare come storici attorno alla figura di Gesù, soprattutto basandosi sulle fonti giudaiche) e negativi (persistenza dei problemi metodologici causati dalla carenza di una adeguata consapevolezza filosofica). Uno dei suoi esponenti più significativi è John P. Meier che ha iniziato nel 1991 un’opera in quattro volumi (tre finora usciti) dal titolo Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico. Indubbiamente – per esempio – la questione dei miracoli è affrontata con maggiore spregiudicatezza: i pregiudizi illuministici sono ampiamente (ma non completamente) caduti.

3. Vista a grandi tratti l’avventura dell’esegesi razionalista o “liberale” [10], possiamo chiederci se esiste un cammino che possa condurci ad un risultato più positivo.

Dobbiamo innanzitutto chiarire in che senso i Vangeli sono libri di storia. Non certamente nel senso di una nuda e fredda esposizione di fatti. I Vangeli sono innanzitutto predicazione. Tuttavia una predicazione radicata nel fatto. Non sono neppure una riproduzione “fotografica” degli avvenimenti o “magnetofonica” dei discorsi. Né l’una né l’altra di queste condizioni sono d’altra parte necessarie perché un racconto possa essere detto “storico”.

La loro stesura è avvenuta in tre tappe.

a) Innanzitutto c’è stata l’insegnamento e la vita di Gesù. Gesù ha scelto degli apostoli affinché lo seguissero fin da principio e fossero testimoni della sua vita e della sua dottrina.

b) Quindi c’è stata la fase della predicazione. I discepoli “ricordano” gli avvenimenti e gli insegnamenti di Gesù guidati dallo Spirito che glieli fa cogliere in profondità: “Lo Spirito Santo che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto quello che io vi ho detto” (Gv 14,26). Dopo la Risurrezione poi incominciano a guardare con occhi diversi gli eventi passati. Parlando Gesù della distruzione e della ricostruzione del tempio con riferimento al suo corpo, l’evangelista dice: “Quando fu risuscitato da morte, i suoi discepoli ricordarono che aveva detto questo, perciò credettero alla scrittura e alle parole dette da Gesù” (Gv 2,22). Lo stesso avviene durante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme montato su un asinello: “Queste cose i suoi discepoli subito non le compresero; ma glorificato che fu Gesù, si ricordarono che erano state scritte di lui, e che essi gliele avevano fatte” (Gv 12,16).

c) Viene poi il lavoro di redazione da parte degli autori dei Vangeli. Un lavoro di selezione: “Gesù dunque fece in presenza dei suoi discepoli anche molti altri prodigi, che non sono scritti in questo libro, e questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù e il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,30-31). Selezione in mezzo a tanti fatti, che per qualcuno sono conosciuti solo attraverso la tradizione orale, come è evidente dal prologo al terzo Vangelo (Lc 1,1-4) “Alcune cose scelsero, altre composero in sintesi; svilupparono alcuni elementi badando alla situazione delle singole chiese, cercando con ogni mezzo che i lettori conoscessero la fondatezza di quanto veniva loro insegnato. Invero fra tutto il materiale di cui disponevano, gli agiografi scelsero in modo particolare ciò che era adatto alle varie condizioni dei fedeli e al fine che si proponevano narrandolo in modo da venire incontro a quelle condizioni e a quel fine. (…) Invero, non va contro la verità del racconto il fatto che gli evangelisti riferiscano i detti e i fatti del Signore in ordine diverso, e ne esprimano i detti non alla lettera, ma con qualche diversità, conservando il loro senso” [11].

Quindi, in sintesi: Gesù – La predicazione della Chiesa – I Vangeli. Ora il problema sta proprio qui: come facciamo a percorrere il cammino inverso? Cioè Vangeli – Predicazione – Gesù?

La ragione storica è perfettamente in grado di portarci a Gesù (non alla fede in Gesù) se si tiene conto di questi fattori:

– La comunità in cui avviene la predicazione non è un gruppo anarchico in cui ciascuno può dire ciò che vuole, ma è stabilmente organizzata attorno ai testimoni dei fatti e dei detti di Gesù [12].

– Il clima in cui avviene la trasmissione è quello di una cultura che valorizza profondamente la memoria, in un modo che a noi oggi immersi nella cultura della stampa e – soprattutto – dell’immagine, riesce difficilmente concepibile [13]. I rabbini avevano elaborato una serie di tecniche mnemoniche per favorire l’apprendimento delle loro dottrine da parte dei discepoli. Tracce di queste tecniche sono chiaramente visibili nei Vangeli [14].

– Le ipotesi alternative a quella della storicità (fondamentalmente due: quella della progressiva idealizzazione di un uomo storico che finisce per trasformarlo in Dio e quella del mito che progressivamente si storicizza) cozzano contro difficoltà insormontabili. Che degli ebrei – con tutto il radicale monoteismo dell’Antico Testamento – potessero concepire naturalmente l’idea di un uomo-Dio è un miracolo certamente ben più difficile da accettare della realtà storica della Risurrezione. Che la storicizzazione di un mito sia messa per iscritto quando i testimoni dei fatti che si vorrebbero addurre come suo travestimento sono ancora vivi è ancora più incredibile.

– Oggi gli storici delle origini cristiane si trovano sempre più d’accordo nell’accettare una serie di “criteri di storicità” che garantiscono una base storica oggettiva e riscontrabile ai Vangeli.

René Latourelle ha sintetizzato così i quattro criteri fondamentali:

a) Criterio di attestazione multipla: “Può essere considerato come autentico un dato evangelico solidamente attestato da tutte le fonti (o la maggior parte) dei vangeli (Marco, fonte di Matteo e di Luca; la Quelle, fonte di Luca e di Matteo; le fonti speciali di Matteo e di Luca e, eventualmente, di Marco), e negli altri scritti del Nuovo Testamento (specialmente gli Atti, il Vangelo di Giovanni, le lettere di Paolo, di Pietro e di Giovanni, l’Epistola agli Ebrei)” [15]. Si tratta di un criterio storico basilare. Ciò che più testimoni indipendenti attestano sostanzialmente (non è necessario che ci sia un accordo totale, sarebbe anzi sospetto, perché rimanderebbe ad una fonte comune e vizierebbe l’indipendenza) deve avere la sua origine nei fatti. Unus testis, nullus testis.

Questo criterio trova una sua applicazione esemplare a proposito della famosa e assolutamente importante questione dei miracoli di Gesù. Qualora si faccia piazza pulita del presupposto filosofico di stampo deistico per cui un intervento di Dio nella concretezza degli eventi umani e anche nella natura è a priori impossibile e ci si confronti invece con questo criterio di storicità che sta alla base di qualunque metodo storico serio si arriva alla sconcertante conclusione che Gesù è certamente stato un taumaturgo ed esorcista senza precedenti e senza possibili paragoni. “Tutte le fonti dei Vangeli (Marco, Q, la fonte speciale matteana, la fonte speciale lucana e Giovanni) a cui si deve aggiungere Flavio Giuseppe nel libro 18° delle sue Antichità Giudaiche (Ant. 18.3.3 §63-64) affermano che Gesù ha compito numerosi miracoli” [16]. Le narrazioni evangeliche poi non hanno paragoni con la letteratura miracolistica dell’epoca: “In confronto le versioni scritte delle tradizioni di miracoli di Apollonio di Tiana, Honi i disegnatore di cerchi e Hanina ben-Dosa sono state composte solo secoli dopo gli eventi ricordati. Inoltre, nelle antiche fonti rabbiniche, Honi e Hanina sono rappresentati come santi uomini le cui potenti preghiere vengono esaudite con la necessaria pioggia o la guarigione della malattia. Essi dunque, nelle primitive tradizioni, non sono rappresentati come facitori di miracoli nel senso stretto della parola – quel senso in cui Gesù è inteso come facitore di miracoli durante il suo ministero pubblico” [17].

b) Criterio di discontinuità: “Si può considerare come autentico un dato evangelico (soprattutto se si tratta delle parole e dei comportamenti di Gesù), quando esso non è riconducibile né alle concezioni del giudaismo, né a quelle della chiesa primitiva” [18]. Gesù appare agli occhi dello storico come un essere assolutamente unico. Si comporta come un rabbino, a differenza però di un qualunque maestro della legge non si limita ad interpretare autorevolmente la Torah, ma assume al suo riguardo un atteggiamento di padronanza: “Avete inteso che fu detto agli antichi… ma io vi dico” (Mt 5,21-22). Per valutare appieno la portata di questo criterio può essere utile riportare le parole di un rabbino contemporaneo: Jacob Neusner. Neusner – una personalità scientifica di tutto rispetto, tra i maggiori conoscitori contemporanei della storia della Mishna e del Talmud – ha scritto diversi libri dedicati al confronto tra giudaismo e cristianesimo. In uno di questi ipotizza un immaginario incontro con Gesù, pensando di trovarsi alla presenza del grande maestro, intento ad ascoltare il suo famoso discorso della montagna. Neusner dice con molta franchezza di non potersi trovare d’accordo con il pur rispettabilissimo e affascinante maestro galileo e – con altrettanta franchezza – dice anche perché: “Comprendo, infatti, che solo Dio può esigere da me quello che sta chiedendo Gesù. […] Alla fine Gesù avanza una richiesta che soltanto Dio fa […]. Il legame familiare che si instaura in Gesù tra maestro ed allievo costituisce soltanto il primo passo che non porta ad onorare il maestro come o più del genitore, ma, in ultima analisi, ad onorare il maestro come e più di Dio” [19]. E ancora: “Cristo sta adesso sulla montagna, egli prende adesso il posto della Torah” [20]. Continuando un colloquio già avviato con un discepolo del grande Rabbi incontrato lì nei pressi di quella famosa “montagna”, arriva ad un punto cruciale: “chiedo al discepolo se è proprio vero che il suo maestro, il Figlio dell’uomo, sia il signore del sabato. E soggiungerei, rifacendogli la domanda che già gli posi: “Il tuo maestro è Dio?” È questo il nocciolo della questione” [21].

Una discontinuità importante si delinea anche con la concezione della chiesa primitiva: il battesimo di Gesù lo annovera tra i peccatori; è riportato un ordine di Gesù agli Apostoli di non predicare ai samaritani e ai pagani, ordine poi completamente superato dalla prassi degli apostoli; i vangeli mettono impietosamente in rilievo tutti i difetti e anche i peccati degli Apostoli che pure la Chiesa primitiva circonda fin da subito di una particolare venerazione; viene conservata una oscurità di linguaggio sull’identità di Gesù che stride con gli sviluppi della cristologia paolina e continua ad imbarazzare i teologi. Questi fatti – e tanti altri che si potrebbero elencare – hanno indotto a coniare anche un “criterio dell’imbarazzo” o “della conservazione dei dati svantaggiosi”. Perché farlo se la comunità è caratterizzata da una creatività religiosa incontrollata? Tutto ciò si spiega solo alla luce di una fedeltà fattuale incoercibile.

c) Criterio di conformità: “Si può considerare come autentico un detto o un’azione di Gesù che sia strettamente conforme, non solo con l’epoca e l’ambiente di Gesù (ambiente linguistico, geografico, sociale, politico, religioso), ma anche e soprattutto intimamente coerente con l’insegnamento fondamentale, l’essenza del messaggio di Gesù, vale a dire la venuta e l’instaurazione del regno messianico” [22]. Questo criterio costituisce ad esempio un potente rincalzo per l’autenticità dei miracoli, che si trovano in piena coerenza con l’annuncio del Regno: che deve venire, ma è già in qualche modo presente, come i segni propri di questa presenza. I criteri vanno concepiti come connessi l’un l’altro e operanti in sinergia.

d) Criterio di spiegazione necessaria. “Se, di fronte a un insieme considerevole di fatti e o di dati, che esigono una spiegazione coerente e sufficiente, si offre una spiegazione che illumini e disponga armonicamente tutti questi elementi (i quali, altrimenti, rimarrebbero degli enigmi), si può concludere di trovarsi in presenza di un dato autentico (fatto, azione, atteggiamento, parola di Gesù)” [23]. Per rimanere sempre nel nostro esempio privilegiato – che tocca peraltro una questione tutt’altro che marginale in tema di credibilità – quello dei miracoli, dobbiamo dire che fatti come l’esaltazione davanti alla comparsa di Gesù, il vedere in lui una autorità che va ben oltre quelle a cui il popolo era abituato, l’odio di molti dei suoi confronti, il ruolo stesso che i miracoli hanno nei racconti evangelici, tutto ciò non ha altra spiegazione che la loro natura di eventi reali. Certamente ridurre i miracoli a strumenti di esemplificazione omiletica conduce solo in un vicolo cieco.

Il credente non deve però mai perdere di vista che la ragione non è per lui l’unica via di accesso alla storia di Gesù, ma essa gli è garantita in modo ben più compiuto dall’ispirazione dei libri santi insegnata dalla Chiesa. Gli approcci alla figura di Gesù di Nazareth possono essere due: uno storico e uno teologico. Un conto è quello che di Gesù posso sapere e dimostrare sulla base di criteri di storicità oggettivi e accettabili anche da chi non ha la fede e un conto è quello che io credente posso sapere su di lui sulla base della fede e delle sue fonti (i Vangeli come testi ispirati, garantiti come tali dall’autorità della Chiesa). Sono due e ciò non sorprende il credente che fa sua la definizione di Calcedonia. Come tali da tenere distinti senza separazione e uniti senza confusione. La confusione fa male al metodo apologetico perché lo sovraccarica di dati di fede e lo snerva nel suo rigore razionale. Chi troppo vuole dimostrare non dimostra niente! Ma fa male anche al metodo teologico: chi costruisce una cristologia teologica basata solo su dati storico-razionali (magari pure condizionati da presupposti filosofici più che discutibili), su quello che in questo modo possiamo cogliere alle soglie della fede, arriva ad un Cristo povero e diminuito… [24]

– L’attribuzione tradizionale dei Vangeli a Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Due apostoli (Matteo e Giovanni) e due uomini della loro cerchia (Marco e Luca), dunque due testimoni oculari e due persone in condizione di potersi perfettamente informare, continua ad avere al suo attivo validissime ragioni di carattere storico. Al problema dell’attribuzione è strettamente congiunto quello della datazione. Lo sforzo di datare i vangeli quanto più tardivamente possibile (la posizione divenuta “classica” è quella di Kümmel per cui i Vangeli sono da porsi tutti tra il 70 e il 100 d. C.) [25] è dettata da preoccupazioni di sistema. Se infatti la comunità è “creatrice”, ciò comporta la necessità di tempo e di lontananza dai fatti e dalla verifica di testimoni [26]. Se la comunità trasmette vitalmente e liberamente – ma all’insegna di un’assoluta fedeltà – questo non è assolutamente necessario. Allora i criteri esterni riprendono il sopravvento e la datazione dei vangeli ritrova naturalmente la sua collocazione tradizionale: i sinottici prima del 70 e Giovanni attorno al 100.

4. Di recente sono emersi fatti nuovi e nuove interpretazioni che – con diversi gradi di probabilità – rafforzano la storicità dei Vangeli e degli scritti del Nuovo Testamento.

Innanzitutto la vicenda dei frammenti greci trovati in una grotta di Qumran (7Q) [27], in particolare i frammenti 7Q5 e 7Q4. Un gesuita spagnolo dal cognome irlandese, il padre José O’Callaghan aveva già nel 1972 e 1974 pubblicato interessanti studi sull’argomento. Impegnato nel lavoro di identificazione dei frammenti greci (già il fatto che dei frammenti greci si trovino in un simile contesto è qualcosa di straordinario) si rivolgeva soprattutto – ovviamente – a testi veterotestamentari. Davanti all’insuccesso di ogni tentativo di identificazione, con il prezioso aiuto del PC e di un programma appositamente confezionato allo scopo, provò – più per desiderio di completezza che per intima convinzione – a fare la ricerca anche sui testi del Nuovo Testamento. Quale non fu il suo stupore quando trovò che l’unico testo in grado di soddisfare alle esigenze del piccolo frammento di papiro contenente solo cinque righe era un brano del vangelo di Marco (6,52-53)! La datazione del frammento infatti era già assicurata mediante sicuri criteri paleografici e storici, perché lo stile della scrittura (la particolare grafia usata dallo scriba) lo faceva risalire alla metà del secolo I e il 68 – data della chiusura delle grotte – costituiva un sicuro termine post quem non. In questo modo la data della composizione del vangelo di Marco si situerebbe certamente tra gli anni 30 e 68 d. C. imponendo un imperioso arretramento alla tendenza dell’esegesi moderna ad una datazione “bassa” dei testi evangelici. Questo non significa di per sé che tutto il discorso su una fase pre-letteraria precedente alla loro stesura, né quello relativo alla loro natura di annuncio e non di biografia in senso stretto debba essere abbandonato, certamente però deve essere abbondantemente ripensato. Ai lavori di O’Callaghan hanno fatto seguito quelli di Carsten Peter Thiede e attorno a questa identificazione si è costruito un certo consenso di studiosi qualificati, soprattutto di papirologi. Anche se non si può parlare di certezza assoluta, è tuttavia ragionevole ritenere che l’attribuzione sia altamente probabile, soprattutto in assenza di spiegazioni alternative veramente plausibili.

Ci sono poi stati gli studi di Jean Carmignac, notissimo studioso di Qumran e grande esperto di ebraico e aramaico. La frequente lettura del testo greco dei Vangeli aveva fatto crescere in lui (che frequentava per la sua specializzazione testi ebraici e aramaici coevi) il sospetto che non si trattasse di una versione originale, ma di traduzioni. Si impegnò così – continuando una venerabile tradizione – in una retro-versione, cioè nel tentativo di rendere in ebraico il testo greco dei Vangeli. La facilità con cui la “traduzione” usciva dalla sua penna lo convinse che non si trattava di una vera e propria traduzione, ma di un “restauro” che faceva uscire alla luce lo strato soggiacente del testo, prossimo all’originale. Un’opera riassuntiva dei risultati della sua ricerca è stata pubblicata in italiano per le edizioni Paoline (La nascita dei Vangeli sinottici, 1985 – ed. or. 1984). Come nel caso di O’Callaghan e Thiede la proposta ha fatto un enorme scalpore. Molti studiosi si sono affiancati a Carmignac, soprattutto nella schiera dei giudaisti (in Italia Paolo Sacchi), ma i più hanno reagito in senso contrario. La passione e i metodi sbrigativi con cui il povero Carmignac è stato trattato non stupiscono, perché la posta in gioco è grande. Si può tranquillamente pensare che se si fosse trattato di un testo greco scritto da ebrei tra i tanti che affollano il periodo la proposta sarebbe stata accettata senza troppa difficoltà… Ma, appunto, non si tratta di testi qualunque. Una redazione in ebraico (o aramaico: non è facile a partire da una traduzione stabilire quale dei due poli dell’alternativa sia quello giusto, posta l’affinità delle due lingue) sposterebbe considerevolmente indietro la redazione dei testi…

A questi studiosi va aggiunto il contributo di Hans-Joachim Schulz (Die apostolische Herkunft der Evangelien, 1993), il quale accumula una quantità impressionante di argomenti a favore delle attribuzioni e datazioni tradizionali dei Vangeli. In questa linea si era già mosso John A.T. Robinson (Redating the New Testament, 1976). È significativo che quest’opera porti la prefazione di Rudolf Schnackenburg, uno degli esponenti più significativi dell’esegesi scientifica contemporanea.

Tutti questi studi portano un contributo importante, che merita di essere approfondito. Non devono però far dimenticare che anche prima di essi il cristiano e il cattolico in particolare aveva già a disposizione ottimi argomenti per dimostrare la storicità dei vangeli con argomenti razionali. La fase orale che ha preceduto la messa per iscritto dei documenti evangelici significa libera elaborazione fantastica e “mitizzante” solo se si procede alla luce di pre-giudizi errati e fuorvianti che misconoscono il valore decisivo e sostanzialmente conservatore della memoria nella tradizione in materia religiosa e considerano ogni intervento diretto di Dio nella storia e in particolare sulla materia come da escludersi a priori. Il vero problema dell’esegesi moderna risulta in definitiva essere filosofico e quindi metafisico:

“Il vero presupposto filosofico di tutto il sistema mi sembra si situi nella svolta filosofica compiuta da Kant, secondo la quale la voce dell’essere in sé non può essere percepita dall’uomo; questi può intenderla solo indirettamente, nei postulati della ragion pratica, che sono rimasti, per così dire, la fenditura stretta attraverso la quale avviene per l’uomo il contatto con ciò che gli è proprio, col suo destino eterno. Riguardo a tutto il resto, riguardo ai contenuti della attività della sua ragione, deve accontentarsi dell’ambito categoriale. Donde la riduzione a ciò che è positivo, empirico, all’ambito della scienza “esatta”, ove, per definizione, è escluso che possa manifestarsi ciò che è totalmente altro, colui che è il Totalmente Altro, un inizio totalmente nuovo che proviene da un altro piano. Tradotto in termini teologici ciò significa che la rivelazione deve ritirarsi nell’ambito puramente formale dell’atteggiamento “escatologico”: ciò corrisponderebbe alla scissione kantiana. Per il resto, si può “spiegare” tutto: ciò che altrimenti avrebbe potuto apparire come una manifestazione diretta del divino non può che essere mito, del quale è possibile scoprire le leggi di sviluppo. È con questa convinzione di fondo che Bultmann – e con lui la maggioranza degli esegeti moderni – legge la Bibbia.

“Egli è convinto che i fatti, così come sono descritti nella Bibbia, non possono essere accaduti, e trova dei metodi che dovrebbe mostrare come in realtà sarebbero accaduti. A questo livello, l’esegesi moderna comporta una “reductio historiae in philosophiam”: la storia viene ricondotta alla filosofia e attraverso la filosofia.

“La vera questione quindi è questa: si può leggere la Bibbia anche in un altro modo? O più esattamente: si deve essere d’accordo con la filosofia che costringe ad una tale sorta di lettura? Poiché il dibattito attorno all’esegesi moderna non è nel suo nucleo centrale un dibattito tra storici, ma un dibattito filosofico. Solo a questo livello può essere correttamente condotto; altrimenti rimane una lotta nella nebbia. In questo senso il problema esegetico si identifica totalmente con il dibattito contemporaneo sul fondamento. Tale dibattito non può essere condotto in modo approssimativo, e non può giungere a buon fine con qualche semplice indicazione. Esso esige, come è già stato sottolineato, l’impegno attento e critico di tutta una generazione. Non può, ormai, consistere in un semplice ritorno al Medio Evo e ai Padri, per contrapporli allo spirito dell’epoca moderna. Ma, in senso opposto, non si può nemmeno rinunciare alle intuizioni dei grandi credenti di tutti i tempi, e fare come se la storia del pensiero avesse preso seriamente inizio soltanto con Kant. Di una tale limitazione di orizzonte soffre a mio parere, largamente il dibattito recente attorno al problema dell’ermeneutica biblica. L’esegesi dei Padri non può essere eliminata qualificandola come “allegorica”; e la filosofia del Medio Evo, a sua volta, non può essere liquidata semplicemente perché la si classifica come “precritica”” [28].

DOCUMENTI

1. Concilio ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei verbum , n. 19

La santa madre chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e costanza massima, che i quattro suindicati vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro salvezza eterna, fino al giorno in cui fu assunto in cielo (cfr. At 1, 1-2). Gli apostoli poi, dopo l’ascensione del Signore, trasmisero ai loro ascoltatori ciò che che egli aveva detto e fatto, con quella più completa intelligenza di cui essi, ammaestrati dagli eventi gloriosi di Cristo e illuminati dalla luce dello Spirito di verità [- Cfr. Gv 14, 26; 16, 13], godevano [- Cfr. Gv 2, 22; 12, 16 e anche 14, 26; 16, 12-13; 7, 39]. E gli autori sacri scrissero i quattro vangeli, scegliendo alcune cose tra le molte tramandate a voce o già per iscritto, redigendo una sintesi delle altre o spiegandole con riguardo alla situazione delle chiese, conservando infine il carattere di predicazione, sempre però in modo tale da riferire su Gesù cose vere e sincere. Essi, infatti, attingendo sia dalla propria memoria e dai propri ricordi sia dalla testimonianza di coloro che “fin dal principio furono testimoni oculari e ministri della parola”, scrissero con l’intenzione di farci conoscere la “verità” [- Cfr. Lc 1, 2-4] degli insegnamenti sui quali siamo stati istruiti.

2. Léonce de GRANDMAISON (1868-1927) teologo, storico, autore di opere di spiritualità. Noto soprattutto per il suo Gesù Cristo, in 2 voll., di carattere storico e apologetico.

Gesù, a differenza del Buddha Sakiamuni, non venne al mondo in un’epoca incerta, dove la storia si disputi qualche nome e qualche fatto con la leggenda. Non nacque, come Maometto, in un angolo fuori di mano dell’Arabia. Conosciamo benissimo il mondo israelita del primo secolo, di cui brillano, nella luce piena della storia, le vicende nazionali, il complesso regime politico, le correnti ideologiche attive e passive. I dintorni limitrofi sono parte integrante della civiltà antica in una delle epoche più luminose e documentate. In questi ultimi anni le sabbie dell’Egitto aggiunsero migliaia di scritti familiari ai documenti antichi, di indole piuttosto letteraria. Nel tempo medesimo, e in quantità quasi uguale, crebbero le documentazioni archeologiche dovute all’esplorazione metodica condotta dalle Scuole e dalle missioni scientifiche che perlustrarono la Grecia continentale e insulare, l’Egitto, la Palestina, la Siria, l’Asia Minore, la Mesopotamia e la Persia.

Nato sotto l’impero di Augusto, morto sotto quello di Tiberio, Gesù è contemporaneo di Filone giudeo, di Tito Livio e del filosofo Seneca. Virgilio, se fosse campato l’età giusta, l’avrebbe potuto vedere con i suoi occhi. Nerone, Flavio Giuseppe, Plutarco, Tacito sono della generazione immediatamente successiva.

Di quelli che figurano nella storia delle origini cristiane primitive conosciamo parecchio altri. I sommi sacerdoti Anna e Caifa, il rabbino Gamaliele il vecchio, maestro di S. Paolo; Erode il grande, suo figlio Antipa, i nipoti e i pronipoti Erode Agrippa I e II; Ponzio Pilato e tutti quelli che si succedettero nella procura della Giudea, prima e dopo l’effimera sovranità di Erode Agrippa I (41-44); Gallione fratello di Seneca, proconsole di Acaia nel 51-52; Giovanni Battista e i suoi discepoli Pietro e Giovanni; Giacomo di Gerusalemme e Paolo di Tarso, tutti personaggi la cui attività ci è fatta palese da testimonianze parecchie e concordi.

A loro volta la persona e l’opera di Cristo vengono a incastonarsi in una trama storica di continuità documentata. Gesù non è una figura sfumata di compagine mitica o leggendaria, come quella di Orfeo, di Atti, di Krishna: è personaggio reale, la cui comparsa in pubblico ha una dta storica, inquadrata in un sincronismo che conquista: “L’anno decimoquinto dell’Impero di Tiberio Cesare, sotto Ponzio Pilato governatore della Giudea, mentre era tetrarca della Galilea Erode e suo fratello Filippo era tetrarca dell’Iturea e della regione Traconitide, Lisania tetrarca della Abilina, sotto il Sommo Sacerdote Anna e Caifa, la parola di Dio fu rivolta a Giovanni figlio di Zaccaria nel deserto…”. [- Lc 3, 1-2]

Del Maestro inquadrato così ci parlano testi diversi i quali, insieme con la geografia, con i titoli, con le religioni, con le istituzioni, con la letteratura e coi costumi di una epoca determinata, ci presentano riferimenti senza numero. Uno stuolo compatto di fedeli, di cui la più parte si fecero valere con la parola e con le opere, si affidano a lui incondizionatamente, professando di andare a Dio solo per mezzo di lui; a lui fanno capo tutto un patrimonio di credenze particolari e un culto liturgico dotato di prodigiosa forza espansiva. Tra questa variopinta fioritura spirituale e il Dio, a cui essa si riferisce, non come a una idealità o a un simbolo, ma come a persona vivente e a un fatto reale, non si adagia più il secolo sognato da Davide Federico Strauss nello scrivere la sua Vita di Gesù; e nemmeno il mezzo secolo voluto da altri. Venticinque anni, dopo il giorno assegnato da tutti alla morte violenta di quell’uomo “sotto Ponzio Pilato”, scritti autentici e relativamente gravi, le lettere di san Paolo, prendono a tema fondamentale Gesù di Nazareth la sua vita e la sua morte (Gesù Cristo. La sua persona, il suo messaggio, le prove, trad. it., Brescia 1932, p. 13-15).

3. Albert SCHWEITZER (1875-1965). Esegeta e teologo protestante, esponente della corrente “liberale”. Concluse la sua vita in Africa, curando i lebbrosi.

Strano destino quello della ricerca sulla vita di Gesù. Partì per trovare il Gesù storico, pensando di poterlo collocare nel nostro tempo come egli è, come maestro e come salvatore. Spezzò le catene che da secoli lo tenevano legato alle rocce della dottrina ecclesiastica, gioì quando la vita e il movimento penetrarono di nuovo la sua figura e quando vide l’uomo storico Gesù venirle incontro. Egli tuttavia non si fermò, passò davanti al nostro tempo, lo ignorò e ritornò al suo. La teologia degli ultimi decenni ne fu scandalizzata e spaventata, perché divenne consapevole che tutte le sue tecniche interpretative e le sue manipolazioni non erano in grado di trattenerlo nel nostro tempo, ma dovevano lasciarlo andare nel suo (Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, trad. it., Brescia: Paideia, 1986 [1906], pp. 744-745).

BIBLIOGRAFIA

Per i punti 2 e 3:

José Caba, S.J., Dai Vangeli al Gesù storico, trad. it., Roma: Edizioni Paoline, 1979.

René Latourelle, S.J., A Gesù attraverso i Vangeli. Storia ed ermeneutica, trad. it., Assisi: Cittadella, 1982/2ª ed.

Fernando Ocáriz – Arturo Blanco, Rivelazione, Fede e Credibilità. Corso di Teologica Fondamentale, Roma: Edizioni Università della Santa Croce, 2001, pp. 285-339.

Andrea Nicolotti, Il Gesù della storia. È possibile conoscerlo?, in: http://www.christianismus.it/sezstorico/doc0036/index.html (visitato il 12 maggio 2005)

Per il punto 4:

Jean Carmignac, La nascita dei Vangeli sinottici, trad. it., Cinisello Balsamo (MI): Paoline, 1985.

Carsten Peter Thiede, Il più antico manoscritto dei Vangeli? Il frammento di Marco di Qumran e gli inizi della tradizione scritta del Nuovo Testamento (subsidia biblica 10), Roma: Biblical Institute Press, 1987.

Stefano Alberto (a c. di), Vangelo e storicità. Un dibattito (i libri dello spirito cristiano), Milano: Biblioteca Universale Rizzoli, 1995.

Hugo Staudinger, Credibilità storica dei Vangeli (Grandi religioni 4), Bologna: Edizione Dehoniane Bologna, 1991.

Hans-Joachim Schulz, L’ origine apostolica dei Vangeli. Presentazione di Rudolf Schnackenburg. Posfazione di Carsten Peter Thiede, trad. it., Milano: Gribaudi, 1996.

Otto Betz – Rainer Riesner, Gesù, Qumran e il Vaticano. Chiarimenti, trad. it., Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, 1995, pp. 167-182.


Note

[1] Il termine “mito”, nel linguaggio corrente, significa la presentazione, sotto forma di racconto – che è quindi fittizio -, di una verità dottrinale particolarmente significativa.
[2] Dal greco gnosis, cioè “conoscenza”. Caratteristica comune di tutte le diversissime correnti gnostiche è quella di ridurre la salvezza alla conoscenza di una dottrina, per lo più riservata a pochi iniziati.
[3] Il termine simbolo può essere inteso in un senso realistico, come segno che, in qualche modo, contiene ciò che significa. Per lo più, nel linguaggio corrente, viene però inteso come semplice segno vuoto di realtà.
[4] L’eresia è un errore pertinace (cioè sostenuto con consapevolezza e insistenza) riguardo alle verità rivelate da Dio e proposte come tali dalla Chiesa. Il termine viene dal greco hairesis = scelta, perché l’eretico fra le verità rivelate sceglie secondo il suo gusto. In definitiva si fabbrica un Cristo a modo suo…
[5] L’epoca dei “lumi” o dell’Illuminismo. L’illuminismo è quel movimento che fa della ragione umana una facoltà in grado di spiegare tutto, per cui ciò che non è razionalmente comprensibile diventa assurdo e fantastico.
[6] Per es. Gesù non era realmente morto e fu rianimato dal freddo della pietra…Oggi anche gli increduli trovano tutto ciò risibile.
[7] Nello stesso periodo R. Whately gioca un brutto tiro ai “razionalisti”. Pubblica uno studio in cui, applicando gli stessi metodi, conclude che l’esistenza storica di Napoleone è criticamente incerta…
[8] Così si esprime Loisy, uno dei maestri di questa scuola: “Se il problema cristologico che ha appassionato ed assorbito per secoli i pensatori è oggi proposto di nuovo, ciò non avviene tanto perché la storia ne è meglio conosciuta, quanto in conseguenza del rinnovamento integrale che è avvenuto e prosegue nella filosofia moderna”.
[9] Renan: Non è perché mi è stato dimostrato previamente che gli Evangelisti non meritano una fede assoluta che io rifiuto i miracoli che raccontano; è perché raccontano dei miracoli che dico: i Vangeli sono delle leggende. Possono contenere della storia, ma certamente tutto non è storico.
[10] Viene chiamata anche così per sottolineare il suo rifiuto di qualsiasi condizionamento da parte di una chiesa.
[11] Istruzione della Pontificia Commissione per gli Studi Biblici sulla verità storica dei Vangeli Sancta Mater Ecclesia del 14 maggio 1964, n. 2.
[12] Cfr. At 1, 15-25; Gal 1, 18-20.2, 1-2: «Andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco. (…) Dopo quattrodici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano».
[13] Per esempio la regola di san Pacomio (c. 140) prescrive ai monaci l’intero Nuovo Testamento e il salterio come quantità minima di Sacra Scrittura da imparare a memoria!
[14] Su questo punto in particolare ha insistito la cosiddetta scuola di Uppsala (H. Riesenfeld e soprattutto B. Gerhardsson). Il suo metodo e le sue conclusioni non bastana da sole a risolvere il problema della storicità di Gesù, ma costituiscono ormai un punto di riferimento ineludibile. Cfr. in particolare: BIRGER GERHARDSSON, Memory & Manuscript. Oral Tradition and Written Transmission in Rabbinic Judaism and Early Christianity – Tradition and Transmission in Early Christianity, con prefazione di Jacob Neusner, William B. Eerdmans Publishing Company – Dove Booksellers, Grand Rapids – Livonia, Michigan 1998.
[15] LATOURELLE, A Gesù attraverso i Vangeli, p. 249.
[16] JOHN P. MEIER, The Present State of the ‘Third Quest’ for the Historical Jesus: Loss and Gain, in: Biblica 80 (1999) p. 480.
[17] Ibidem.
[18] LATOURELLE, op. cit., p. 252.
[19] JACOB NEUSNER, Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù. Quale maestro seguire?, trad. it., Casale Monferrato (AL): Piemme, 1996, pp. 70-71. L’allora card. Joseph Ratzinger ha definito questo libro “Il saggio più importante per il dialogo ebraico-cristiano dell’ultimo decennio”.
[20] Ibid., p. 93.
[21] Ibid., p. 94.
[22] LATOURELLE, Op. cit., p. 257.
[23] Ibid., p. 259.
[24] Cfr. AGOSTINO BEA, S.J., La storicità dei Vangeli sinottici, in: La Civiltà Cattolica 115 (II, 1964), pp. 417-436; IDEM., Il carattere storico dei Vangeli sinottici come opere ispirate, Ibid., pp. 526-545.
[25] Cfr. WERNER GEORG KÜMMEL, Einleitung in das Neue Testament, Heidelberg: Quelle & Meier, 1980/20a ed., pp. 70.90.120.211. La Time Line di Ehrman non dà risultati diversi: BART D. EHRMAN, The New Testament. A Historical Introduction to the Early Christian Writings, New York / Oxford: Oxford University Press, 2004/3a ed., pp. xxxii-xxxiii.49.
[26] «Il tempo di composizione di Marco è difficile da determinare. Una origine precoce non è verosimile, perché lo sviluppo della tradizione evangelica è già molto avanzata» (Ibid., p. 70). Il corsivo è mio.
[27] A partire dal 1947 nella regione attraversata dal uadi Qumran, a circa due Km a NO del Mar Morto e a 11 Km a S di Gerico, è stato identificato un insediamento composto di undici grotte, con un insieme importante di manoscritti – tra cui alcuni manoscritti Veterotestamentari. Gli abitanti erano esseni e conducevano una vita di tipo monastico. Il complesso fu distrutto nel 68 d. C.
[28] JOSEPH RATZINGER, L’interpretazione biblica in conflitto, in: Ignace de la Potterie, S.J. – Romano Guardini – Joseph Ratzinger – Giuseppe Colombo – Enzo Bianchi, L’ esegesi cristiana oggi, Casale Monferrato (AL): Piemme, 1991, pp. 112-114.

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