La Samaritana

Il Timone, n. 72, aprile 2008
don Pietro Cantoni


“Quando il Signore venne a sapere che i farisei aveva n sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni – sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli – lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: “Dammi da bere”. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: “Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?”. I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è. colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. Gli disse la donna: “Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?”. Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna””. (Gv4, 1-14).

Joseph Ratzinger/Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret dedica un intero capitolo (8) a Le grandi immagini giovannee. La reazione dell’uomo moderno davanti ai simboli che si trovano disseminati in un testo che intende narrare dei fatti è quella di attribuirne la paternità alla soggettività dell’autore, trasformando la narrazione in elucubrazione filosofica o teologica. La realtà non può essere “simbolica”, l’unico facitore di simboli può essere l’uomo. In una prospettiva cristiana però, e quindi anche nella prospettiva di una metafisica non kantiana, la realtà in quanto creata da Dio, Ragione creatrice – è disseminata di sensi che rimandano a lui.
Se poi in questa stessa realtà irrompe – “interferisce” – questa stessa Ragione fatta uomo, ci si dovrebbe piuttosto meravigliare che tutto non fosse un fitto tessuto di simboli: azioni e parole, gesti ed atteggiamenti, tempi e contesti.
Il primo dei simboli evocato da Ratzinger è l’acqua. Il più semplice di tutti. Esso evoca naturalmente la vita: “La sorgente è origine, inizio, nella sua purezza ancora limpida e intatta. La sorgente appare così come elemento propriamente creativo, anche come simbolo della fertilità, della maternità” (Gesù di Nazaret, p. 279). Altrettanto naturalmente evoca la morte: il mare circonda la terra, il luogo dove l’uomo vive. Se il mare sommerge la terra per l’uomo non vi è più spazio vitale. Per questo Dio ha posto un limite alle acque (Gb 38, 10-11; Sal 103, 9). L’incontro tra Gesù e la Samaritana avviene presso un pozzo. Non un pozzo qualunque, ma il Pozzo di Giacobbe, quello che il patriarca ha scavato per i suoi figli, il suo gregge e per i suoi discendenti. Gesù incomincia il dialogo con la donna chiedendo lui da bere, ma ben presto le svela che lui ha un’acqua da dare ben diversa da quella del pozzo, un’acqua viva tale da estinguere ogni sete. Soprattutto quella sete profonda che alberga nel cuore dell’uomo e che va al di là dell’acqua fisica che sgorga dalle fonti, scorre nei ruscelli e nei fiumi e si può attingere dai pozzi.
Giovanni distingue la vita biologica (bfos) dalla vita completa che non è sottoposta di suo ai limiti di questa creazione (zoé). L’acqua che promette Gesù è quella che dà la vita eterna. Mosé aveva dato la manna ai figli di Israele nel deserto: Gesù – nuovo Mosé – dà un pane venuto veramente dal cielo e che in cielo porta coloro che con fede lo mangiano. Giacobbe aveva scavato un pozzo: Gesù dona l’acqua viva che – in chi con fede la beve – diventa sorgente che zampilla per la vita eterna. Quest’acqua – che simboleggia la vita, ma anche la morte – rimanda al sacramento del Battesimo e all’evento che ne è la fonte: la morte in Croce del Figlio di Dio fatto uomo. Da quella morte viene per tutti noi la vera vita. Dalla croce Gesù dice sempre di nuovo a tutti noi: “Dammi da bere!” (cfr. Gv 19, 28).

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