Il pensiero del giorno

Fatima: conversione, riparazione e devozione ai Sacri Cuori

I. Fatima: spiegazione e rimedio della crisi contemporanea

Catolicismo ha pubblicato, nel suo ultimo numero, il riassunto delle rivelazioni fatte dall’Angelo del Portogallo e poi dalla Madonna ai tre Pastorelli di Fatima (1).
Il mese di maggio è propizio a che questa rivista continui a trattare dell’argomento, tanto più che tutta la città di Campos vibra ancora degli echi della trionfale accoglienza tributata dai suoi figli all’immagine pellegrina della Madonna di Fatima (2).
In questo studio supponiamo dimostrata la verità delle apparizioni di Fatima. In altri termini, ammettiamo che il lettore riconosca come vero che l’Angelo del Portogallo e, dopo di lui, la Madonna siano apparsi ai tre Pastorelli, e che le rivelazioni fatte nelle diverse apparizioni siano state da loro fedelmente riferite. La prova potrebbe certamente esser fatta con i metodi utilizzati per lo studio di qualunque fatto storico di questo genere.
A Fatima si sono prodotti guarigioni e prodigi alla presenza di migliaia di persone.
Quindi si possono sottoporre questi o quelle a un’analisi scientifica per verificare se sono miracolosi. D’altronde, i tre Pastorelli sono stati sottoposti a numerosi interrogatori, ufficiali e privati, fatti da amici e da nemici. Queste deposizioni possono esser passate al vaglio di tutti i buoni metodi della critica. In questo studio si dovrebbero sottoporre ad analisi anche i precedenti dei Pastorelli, la vita da loro condotta dopo le apparizioni, e i pronunciamenti dell’Autorità Ecclesiastica, dal momento che tutto questo comporta una completa chiarificazione dell’argomento. Per quanto tale studio sia interessante, lo lasciamo intenzionalmente da parte. La grande maggioranza dei fedeli crede nelle apparizioni e nelle rivelazioni di Fatima. Poiché la nostra pubblicazione è soprattutto destinata a orientare lettori cattolici, ci pare più utile, invece di provare loro quanto già ammettono come certo, analizzare qualche aspetto di quanto accettano le loro anime, illuminate dalla fede.

La grande crisi dei nostri giorni

I fatti contemporanei più significativi sono:

1. La crisi universale

La società umana presentava, nella prima parte di questo secolo [il secolo XX], cioè fino al 1914, un aspetto brillante. Il progresso era indiscutibile in tutti i campi. La vita economica aveva conseguito una prosperità senza precedenti. La vita sociale era facile e attraente. L’umanità sembrava avanzare verso l’età dell’oro. Alcuni gravi sintomi stonavano rispetto ai colori vivaci di questo quadro. Vi erano per certo miserie materiali e morali.
Ma pochi misuravano in tutta la sua estensione l’importanza di questi fatti. La grande maggioranza sperava che la scienza e il progresso avrebbero risolto tutti i problemi. La prima guerra mondiale venne a opporre una terribile smentita a queste prospettive. In tutti i sensi, le difficoltà si aggravarono incessantemente fino al 1939. Sopravvenne la seconda guerra mondiale, e con questo giungiamo alla condizione presente, nella quale si può dire che non vi è sulla terra una sola nazione che non sia alle prese, in quasi tutti i campi, con gravissime crisi. In altri termini, se analizziamo la vita interna di ogni nazione notiamo in essa uno stato di agitazione, di disordine, di sfrenatezza di appetiti e di ambizioni, di sovvertimento di valori, che se non è già aperta anarchia, comunque avanza in quella direzione. Nessuno statista contemporaneo ha saputo ancora presentare la soluzione che arresti questo processo morboso di portata universale.

2. Le guerre mondiali.

Quella del 1914-1918 è parsa una tragedia insuperabile. In realtà, quella del 1939-1945 l’ha superata dal punto di vista della durata, dell’universalità, della mortalità e delle rovine prodotte. Ci ha lasciato a due passi da una nuova guerra ancora peggiore sotto tutti i punti di vista. Masse umane hanno vissuto questi ultimi anni nel terrore di questa prospettiva, consapevoli che un terzo conflitto mondiale avrebbe forse portato con sé la fine della nostra civiltà.

L’attualità delle rivelazioni di Fatima

L’elemento essenziale dei messaggi dell’Angelo del Portogallo e della Madonna consiste, come vedremo, nell’aprire gli occhi degli uomini sulla gravità di questi fatti, nell’insegnarne loro la spiegazione alla luce dei piani della Provvidenza Divina, e nell’indicare i mezzi necessari per evitare la catastrofe. La Madonna c’insegna la storia stessa della nostra epoca, e ancor più il suo futuro.
L’Impero Romano d’Occidente si chiuse con una catastrofe illuminata e analizzata dal genio di un grande Dottore, sant’Agostino [Aurelio (354-430)]. Il tramonto del Medioevo fu previsto da un grande profeta, san Vincenzo Ferrer [1350- 1419]. La Rivoluzione francese [1789], che segna la fine dell’Età Moderna, fu prevista da un altro grande profeta e nello stesso tempo un grande Dottore, san Luigi Maria Grignion da Montfort [1673-1716].
Ora, l’Età Contemporanea, che sembra sul punto di chiudersi con una nuova crisi, ha un privilegio maggiore. A parlare agli uomini è venuta la Madonna.
Sant’Agostino ha potuto solamente spiegare per la posterità le cause della tragedia di cui era testimone. San Vincenzo Ferrer e san Luigi Grignion da Montfort cercarono invano di allontanare la bufera: gli uomini non vollero ascoltarli. La Madonna nello stesso tempo spiega i motivi della crisi e indica il suo rimedio, profetizzando la catastrofe nel caso gli uomini non l’ascoltino. Dunque, da qualsiasi punto di vista, per la natura del contenuto come per la dignità di chi le fa, le rivelazioni di Fatima sopravanzano tutto quanto la Provvidenza ha detto agli uomini nell’imminenza delle grandi burrasche della storia.
I diversi punti delle rivelazioni relativi a questo tema costituiscono propriamente l’elemento essenziale dei messaggi. Il resto, per quanto sia importante, costituisce un semplice complemento.

Il presupposto: terribile crisi religiosa e morale

Non vi è una sola apparizione nella quale non s’insista su un fatto: i peccati dell’umanità sono diventati di un peso insopportabile sulla bilancia della giustizia divina. Questa la causa recondita di tutte le miserie e di tutti i disordini contemporanei. I peccati attirano la giusta collera di Dio. Quindi i castighi più terribili minacciano l’umanità. Perché non sopravvengano, è necessario che gli uomini si convertano. E perché si convertano è necessario che i buoni preghino con ardore per i peccatori e che offrano a Dio ogni sorta di sacrifici espiatori.

Pregare ed espiare per i peccatori

Nei suoi messaggi, l’Angelo del Portogallo insegna ai Pastorelli a chiedere perdono per i cattivi e, inoltre, a offrire sacrifici per loro. Ricorda in modo particolare la necessità di offrire riparazione al Santissimo Sacramento per le ingiurie che riceve, non solo da quanti lo profanano, ma anche da quanti lo ricevono con indifferenza. Nella sua prima apparizione, la Madonna chiede ai Pastorelli di accettare la dura missione di espiare per i peccatori, e predice loro che dovranno soffrire molto. Nella seconda apparizione, li incita a pregare e a sacrificarsi per ridurre il gran numero di anime che si perdono. A tal fine insegna loro una giaculatoria (3).
Inoltre mostra il suo Cuore Immacolato coronato di spine a causa dei peccati commessi oggi. Nella terza apparizione, fa loro vedere l’inferno con i tormenti inenarrabili cui sono soggetti quanti vi sono gettati dalla giustizia di Dio. E insiste sulla necessità di riparare per i peccati. Nella quarta visione la Madonna insegna un’altra preghiera riparatoria (4), e afferma che sono molte le anime che si perdono perché non vi è nessuno che ripari per loro. Nella quinta apparizione, la Madonna modera alcuni eccessi dei Pastorelli nel loro ardore di riparazione, ma insiste sulla necessità di sacrificarsi per i peccatori. Afferma la necessità che gli uomini si pentano dei loro peccati, smettendo di sfidare la giustizia di Dio, affinché il mondo non sia castigato. Infine, a Tuy [in Spagna, il 17-12-1927], apparendo a suor Lucia, la Madonna parla precisamente nello stesso senso. Quindi vediamo che il pensiero costante di tutti i messaggi è questo: il mondo è alle prese con una terribile crisi religiosa e morale; i peccati commessi sono innumerevoli e sono l’autentica causa dell’universale desolazione. Il modo più sicuro per porre rimedio ai loro effetti consiste nella preghiera e nella riparazione.

I messaggi di Fatima e la voce dei Papi

Il linguaggio dei Papi non è stato diverso. Pio XI [1922-1939], per esempio, nell’enciclica Miserentissimus Redemptor, dell’8 maggio 1928, di fronte allo spettacolo delle disgrazie contemporanee, ha affermato che «cose tanto dolorose sembrano con tali sciagure preannunciare fin d’ora e anticipare “il principio dei dolori” che apporterà “l’uomo iniquo che s’innalza su tutto quello che è Dio e religione” (2 Ts. 2, 4)» (5). E aggiunge: «E così corre alla mente, pur senza volerlo, il pensiero che già siano giunti i tempi profetizzati da nostro Signore: “E poiché abbondò l’iniquità, si raffredderà la carità di molti” (Mt. 24, 12)» (6).
E più di recente il Santo Padre Pio XII [1939-1958], gloriosamente regnante, ha affermato che l’opera di demolizione della civiltà cristiana, dopo aver portato al culmine la sua azione negativa, sta ormai costruendo in questo mondo la Città Anticristiana; l’autore di questa opera «è […] divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora
attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato. Ed ecco il tentativo di edificare la struttura del mondo sopra fondamenti che Noi non esitiamo ad additare come principali responsabili della minaccia che incombe sulla umanità: un’economia senza Dio, un diritto senza Dio, una politica senza Dio.
Il “nemico” si è adoperato e si adopera perchè Cristo sia un estraneo nelle Università, nella scuola, nella famiglia, nell’amministrazione della giustizia, nell’attività legislativa, nel consesso delle nazioni, là ove si determina la pace e la guerra.
«Esso sta corrompendo il mondo con una stampa e con spettacoli, che uccidono il pudore nei giovani e nelle fanciulle e distruggono l’amore fra gli sposi; inculca un nazionalismo che conduce alla guerra» (7).

Il falso ottimismo e il messaggio di Fatima

Queste parole, di un sano realismo, contrastano — lo sappiamo bene — con una tendenza tutt’altro che rara fra i cattolici. Per spirito di accomodamento, per opportunismo, per il desiderio puerile di concordare in tutto con questo secolo per condurlo per vie estremamente problematiche a una chimerica conversione, pensano, operano, si sentono, in questo mondo di crisi e di crollo, come se fossero nel secolo XIII, con san Luigi [IX Capetingio (1214-1270)] sul trono in Francia, con san Ferdinando in Castiglia [III (1200 ca.-1252)], con san Tommaso d’Aquino [1225 ca.-1274] e con san Bonaventura [da Bagnoregio (1217 ca.-1274)] che illuminano la Chiesa con lo splendore della loro scienza e della loro virtù. Quando attualmente solo fra ragazzini e ragazzine si trovano ancora persone che non hanno preso coscienza della
gravità della crisi che attraversiamo, questi nostri cattolici, spesso quarantenni o anche più anziani, entrano freneticamente nella banda di quanti sono spensierati, e intonano lodi e inni a una situazione che ad altri strappa gemiti d’angoscia e perfino grida di dolore.
E se qualcuno intende aprir loro gli occhi, s’infuriano. Tolleranti nei confronti di tutto e di tutti, non possono sopportare che si mostri la gravità della situazione in cui ci troviamo. La parola della Madonna, la parola del Papa basteranno per convincerli? Non sembra probabile. Ma possono almeno immunizzare contro quest’ondata di ottimismo ozioso quanti si sentissero propensi ad aderirvi.

Il messaggio di Fatima e i cattolici miopi

A fianco di quest’ottimismo febbrile, al quale piacerebbe fare dell’apostolato una perpetua festicciola di adolescenti, un’eterna gita, che detesta nella vita di pietà stessa tutto quanto possa evocare l’idea di dolore, i Crocifissi in cui la Divina vittima figura con le sue Piaghe, versando il Sangue redentore ecc., c’è ancora un altro difetto da considerare. E’ l’abulia. Esiste una falsa devozione che devia gli uomini dalla considerazione di tutti i grandi problemi. È la civiltà cristiana che si dissolve, il mondo che crolla, la terra che si sconvolge? L’uomo intossicato da questa forma di devozione non vede nulla, non sente nulla, non percepisce nulla. La sua vita si riduce soltanto a una vituccia, che consiste nell’adempimento  corretto e pacato dei suoi piccoli doveri personali e dei suoi piccoli atti di pietà, nell’esclusiva soluzione dei suoi piccoli casi di coscienza. Il suo zelo non va molto oltre ai suoi orizzonti, e questi, duole dirlo, vanno un po’ più aldilà del suo naso. Se gli si parla di politica, di sociologia, di filosofia e teologia della Storia, di apologetica, si svia persino con  un certo timore: è la paura che le termiti hanno della luce del sole. Anche per lui, Fatima contiene una grande lezione.
La Madonna discese sulla terra per attirare a questo immenso panorama lo zelo delle anime. Ella vuole devozione, vuole riparazione, basando però il suo desiderio in una visione immensa dei grandi interessi di Dio in tutta la vastità della terra. Non si tratta, nelle prospettive illimitate di Fatima, di salvare soltanto questa o quell’anima  individualmente considerata.
Si tratta di vedere più in alto e più lontano. È per la salvezza di tutta l’umanità che si deve lottare, poiché non si tratta soltanto di questo o di quell’uomo, ma di legioni di anime minacciate di perdersi in una delle crisi più gravi della Storia. Ed è per questa immensa incombenza che la Madonna chiede non un Cireneo, ma molti, moltissimi di loro, intere falangi. A Fatima non vi è soltanto un appello a tre pastorelli di fare penitenza. Questo appello è rivolto al mondo intero. È tutta la vita di pietà contemporanea che deve avere, per così dire, un forte tono riparatore ed espiatorio.

I messaggi di Fatima e l’”eresia delle opere”

Notiamo anche un altro punto. Nessuno può dubitare dell’importanza delle opere di apostolato. I Papi hanno richiamato ad esse giornalmente i fedeli. Frattanto, nella sua estrema concisione, Fatima non ci dice nulla di particolare in merito. Sarà forse perché la Provvidenza non le giudica necessarie e urgenti? Chi potrebbe pensare tale aberrazione? Quindi, come mai si tace su Fatima? È perché viviamo in un’epoca dominata dai sensi, in cui gli uomini riconoscono facilmente la necessità dell’agire, poiché l’azione è qualcosa che va percepita dai sensi, la cui efficacia molte volte può essere valutata da cifre, statistiche e risultati palpabili. Perciò non è tanto difficile attirare l’attenzione delle anime veramente zelanti sull’importanza dell’azione. Invece è e continua ad essere molto difficile attirarle a ciò che è spirituale, interiore, invisibile. Ecco perché l’uomo capisce più difficilmente la preghiera e la vita interiore, e ad esse dedica meno tempo e meno interesse. Dunque, si comprende bene che a Fatima la Madonna abbia insistito sulla necessità della preghiera e della penitenza al punto da fare di questo, l’elemento essenziale del suo messaggio. Quanto profitto avrebbe tirato da questo fatto, Don Chautard, se al suo tempo tutto l’argomento “Fatima” fosse stato chiarito quanto lo è oggi [cfr. L’ANIMA DI OGNI APOSTOLATO, D. Jean-Baptiste Gustave Chautard, Ed. Luci sull’Est, 2000, prima traduzione dal testo critico integrale, pp. 255].

Non basta pregare: è necessario espiare

Infine un punto essenziale. La Madonna non parla solo di preghiera. Ella vuole espiazione, sacrificio. Si è mai vista un’epoca in cui si fugga più di questa dal dolore? Ci sarà mai stata un’epoca in cui si sia meno parlato sulla necessità della mortificazione? Ci sarà mai stata un’epoca in cui si sia più sminuita la nozione dell’importanza del sacrificio? È, giustamente, su questo punto che la Madonna richiama, in modo particolare, la nostra attenzione. Nei grandi secoli della vita devota, l’espiazione era un fatto frequente nella vita degli uomini e dei popoli. Si facevano immensi pellegrinaggi per espiare i peccati. Nelle grotte, nelle foreste, nei chiostri si trovavano vere legioni di anime dedite alla vita di espiazione. Nei testamenti venivano lasciate intere fortune per le opere pie o di carità, in remissione dei peccati. C’erano delle confraternite specificatamente destinate ad incrementare la penitenza. C’erano processioni espiatorie a cui prendevano parte intere città. Oggi non mancano manifestazioni collettive di pietà. Ma, per quanto la Chiesa ci sproni alla penitenza, quale ruolo svolge quest’ultima in tali manifestazioni? Che ruolo rappresenta nella nostra vita privata? È piccolo, anzi piccolissimo. Sembra indiscutibile che anche su questo punto Fatima ci dia lezioni preziose. Torneremo sull’argomento.

II. La devozione al Cuore di Maria salverà il mondo dal comunismo

Come abbiamo detto precedentemente, gli studi che veniamo pubblicando su Fatima presuppongono sia stato dimostrato, come punto di partenza, che la Madonna sia apparsa veramente a Lucia, a Giacinta [Marto (1910-1920)] e a Francesco [Marto (1908-1919)], e che abbia a essi comunicato i messaggi, da questi a loro volta trasmessi al mondo.
Per una questione di metodo vogliamo ricordare questo punto, che costituisce la pietra angolare di tutto quanto si scriva su Fatima. Trattandosi di apparizioni che i veggenti affermano destinate a essere conosciute dal Santo Padre, dalla Sacra Gerarchia e, insomma, dalla Cristianità tutta, non è possibile una via di mezzo: o le prove sono chiare, certe, pienamente concludenti, e in tal caso le rivelazioni meritano un credito completo, oppure le prove sono dubbie, confuse, discutibili, e in questo caso i messaggi sono falsi, perché non si capisce come mai, se la Madonna ha voluto veramente far giungere un messaggio al mondo, non ha disposto i fatti in modo da presentare all’umanità motivi ragionevoli per ritenerlo autentico. Visto in questo modo l’argomento, siamo condotti dalla natura stessa delle cose a un’altra alternativa. Se le prove sono certe, se i messaggi sono autentici, è impossibile non dare la massima importanza al loro contenuto. Se la Madonna ci ha realmente parlato, è giocoforza tenere nella più alta considerazione quanto Ella ci ha detto, meditare a lungo ognuna delle sue parole, trarne, attraverso un’analisi intelligente, tutto quanto contengono. Ma, d’altro canto, se le prove non sono certe, sarà meglio non perdere neppure un minuto con l’argomento. Come non si può prestare ai messaggi neppure una «mezza fede», così non si può attribuire al suo contenuto una mezza importanza. Sottolineiamo con tanta insistenza questo aspetto fondamentale della questione perché ci sembra che, purtroppo, a proposito di Fatima, è molto più frequente di quanto a prima vista si possa forse immaginare un’atmosfera di «mezza credenza» e di «mezza importanza».

La gravità della situazione del mondo secondo il messaggio di Fatima

Quindi la Madonna ha parlato al mondo. Ha descritto la situazione come gravissima, ha indicato come causa di questa situazione la spaventosa decadenza morale dell’umanità, ci ha minacciati con terribili punizioni terrene — nuova guerra, diffusione mondiale degli errori del comunismo, persecuzioni alla Chiesa — e con una punizione eterna mille volte peggiore — l’inferno — se non ci emenderemo, e ha infine prescritto i mezzi necessari per giungere all’emendazione e per evitare tanti castighi.
Benché qualche sciocco chiuda gli occhi davanti alla realtà più evidente e si compiaccia di affermare che è a posto con Dio il mondo in cui viviamo — di dubbio, di naturalismo, d’indisciplina morale e di adorazione della felicità terrena — è necessario credere il contrario, perché la Madonna ci ha detto il contrario.
È assolutamente certo che alcuni sociologi evoluzionisti, molto più evoluzionisti che sociologi, amano dire che l’oggi è migliore dello ieri, e che il domani sarà necessariamente migliore dell’oggi. Ma la Madonna ci dice che la verità è molto diversa: il domani sarà migliore dell’oggi solamente se ci emenderemo e faremo penitenza. Diversamente, per quanto insomma il progresso materiale, la medicina, le finanze, i divertimenti, il comfort della vita si sviluppino, avanziamo verso un grande e universale collasso.
Purtroppo non mancano neppure teologi ottimisti che creano attorno a sé una gradevole atmosfera di simpatia, sostenendo che quasi nessuno si condanna all’inferno. Invece la Madonna insegna il contrario, e lo fa non solo con parole, ma anche con l’argomento invincibile del fatto concreto: apre l’inferno davanti agli occhi dei Pastorelli terrorizzati, perché raccontino al mondo intero quanto hanno visto. E bisogna credere alla Madonna e non a certa teologia debole, all’acqua di rose.
E se la Madonna ci rivela a Fatima quali sono i rimedi di cui ci si deve servire per evitare la catastrofe, è necessario studiarli, applicarli, riporre in essi tutte le speranze, invece di perder tempo sperimentando panacee suggerite dagli uomini. Di questi rimedi indicati dalla Madonna vogliamo trattare in modo particolare.

La vita soprannaturale è l’autentica soluzione

Abbiamo già fatto notare di passaggio, nell’articolo precedente, che la Madonna indica, come rimedi fondamentali per il mondo contemporaneo, la preghiera, la penitenza, l’emendazione della vita. Da questi tre provvedimenti puramente spirituali fa dipendere il mantenimento della pace, la preservazione dell’Occidente dalla propaganda comunista, quindi la sopravvivenza della civiltà stessa.
Potranno esser colpiti da ciò molti cattolici male informati, che pongono tutte le loro speranze in mezzi puramente umani. Immaginano che tutto sarebbe salvo il giorno in cui la Chiesa fosse robustamente dotata di seminari, di università, di giornali, di riviste, di librerie, di cinema, di teatri, di opere di carità e di assistenza sociale. In questa concezione, tutto si riduce all’ambito puramente naturale: la scristianizzazione ha come causa l’insufficienza dei nostri mezzi di propaganda e di azione. Il giorno in cui avessimo posto rimedio a questa insufficienza, avremmo vinto la scristianizzazione.
Nel frattempo, appare la Madonna a Fatima, e su tutti questi mezzi di azione non dice una sola parola. Come spiegare questo mistero? Che ne è delle parole dei Papi, che non hanno smesso di raccomandare tutto quello di cui la Madonna ha taciuto? I messaggi di Fatima saranno in contraddizione con le direttive pontificie? Sarebbe facile rispondere a tutte queste domande, se i cattolici facessero la fatica di leggere seriamente e per esteso i documenti pontifici, invece di accontentarsi di citazioni trovate sparse qua e là, in certi libri e giornali impegnati, a quanto pare, nel fare un’autentica opera di filtro di tutto quanto nella parola del Sommo Pontefice eventualmente contrasti con i loro preconcetti. I Papi non si stancano di raccomandare l’uso di tutti i mezzi naturali legittimi per promuovere il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. Tuttavia, non si limitano solamente a questo.
In documenti veramente innumerevoli, mostrano che i mezzi naturali non saranno di nessuna efficacia se non vi sarà, in quanti lottano per la Chiesa, una vita costante di pietà, di mortificazione, di sacrificio; se i soldati di Cristo non avranno continuamente presente che i mezzi di azione naturali devono essere canali di grazia di Dio, e che l’apostolo — chierico o laico — dev’essere lui stesso un luogo di conservazione delle grazie che ne devono vivificare le opere. In una parola, le tesi essenziali del libro inimitabile di dom Chautard, L’Anima di ogni Apostolato (8), sono state inculcate in ogni modo dai Papi. E sono gli stessi principi che la Madonna c’insegna a Fatima.
La Vergine Santissima non ci dice di non dedicarci completamente alle opere di apostolato. Ma ripete l’insegnamento di Nostro Signore a Betania: è necessario vivere in intima unione spirituale con Dio, perché tutto il resto deriva da lì, e senza una tale unione le opere più sagge, più utili, più opportune risulterebbero miserevolmente sterili (9).

L’Angelo tutelare della patria

Notiamo a questo punto, molto rapidamente, altri aspetti dei messaggi di Fatima. L’apparizione dell’Angelo del Portogallo ci fa ricordare la dottrina della Chiesa circa il fatto che ogni popolo ha un suo particolare Angelo Custode. Vi è stato un tempo in cui ogni nazione aveva una particolare devozione al proprio Angelo Custode, invocandolo nelle proprie tribolazioni, e soprattutto nella lotta per il mantenimento del popolo nel seno della Chiesa. Abbiamo pensato a questo? Pratichiamo il culto all’Angelo Custode del Brasile?

Amore e timor di Dio

L’Angelo prega in presenza dei Pastorelli, profondamente inchinato, con il volto a terra. È un esempio che dobbiamo imitare. Nelle nostre preghiere dobbiamo essere fiduciosi, confidenti, filiali. Ma è necessario non dimenticare che l’autentica pietà filiale non esclude, anzi suppone, il più profondo rispetto. Si tratta di un altro punto su cui le rivelazioni di Fatima contengono preziosi insegnamenti per l’uomo moderno. Infatti, a forza di parlare di democrazia in tutto e per tutto, finiamo non di rado per deformare in tal modo la nostra mentalità, da introdurre un tonus ugualitario perfino nei nostri rapporti con Dio!

Devozione combattuta dal liturgismo

Negli ultimi tempi, il liturgismo ha instillato nelle file cattoliche preconcetti tenaci contro certe devozioni, fra le quali il culto al Santissimo Sacramento extra Missam, e il Santo Rosario.
Orbene, entrambe queste devozioni sono fortemente inculcate a Fatima.
A Dio niente è impossibile. Così, se la Provvidenza avesse voluto, i Pastorelli potrebbero esser stati trasportati — grazie a un fenomeno di bilocazione, per esempio —in qualche luogo in cui venisse celebrato il Santo Sacrificio, per poi, nel corso di esso, ricevere la Santa Comunione. In ultima analisi, questo sarebbe stato tanto straordinario quanto affidare all’Angelo le Sacre Specie perché ne comunicasse i Pastorelli. Tuttavia fu quest’ultimo il modo disposto dalla Provvidenza. Se nel culto eucaristico extra Missam vi fosse qualcosa d’intrinsecamente contrario al modo vero d’intendere la Presenza Reale, sarebbe stato impossibile che la Provvidenza decidesse che l’adorazione eucaristica dell’Angelo e la prima Comunione dei Pastorelli si realizzassero nel modo in cui si sono realizzate.
Quanto al Santo Rosario, sarebbe difficile raccomandarlo con maggiore insistenza. «Sono la Regina del Rosario», ha detto di sé stessa la Santa Vergine nell’ultima delle apparizioni (10). E in quasi tutte ha inculcato esplicitamente questa devozione ai Pastorelli. Quindi, come pretendere che il Rosario abbia perso qualcosa della sua attualità? Si proclama pure che la meditazione dell’inferno è inadatta ai nostri giorni e capace solamente d’incutere un timore servile. Questa affermazione crolla fragorosamente a fronte di quanto è accaduto a Fatima, perché la visione dell’inferno, di cui i Pastorelli sono stati privilegiati, mirava evidentemente a purificare il loro amore e il loro senso di apostolato.

Devozioni ai Sacri Cuori

A Fatima s’inculca ugualmente, con significativa insistenza, la devozione al Sacro Cuore di Gesù, che pure è stata messa in ombra da una certa tendenza di spiritualità attualmente molto in voga. Il culto al Sacro Cuore di Gesù è stato considerato da tutti i teologi come una delle più preziose grazie con cui la Santa Chiesa è stata confortata negli ultimi secoli.
Era destinato a rianimare negli uomini l’amore di Dio, intorpidito dal naturalismo del Rinascimento, dagli errori dei protestanti, dei giansenisti, dei deisti e dei razionalisti. Nel secolo scorso [il secolo XIX], proprio per mezzo di questa devozione l’Apostolato della Preghiera ha prodotto una mirabile rifioritura della vita religiosa in tutto il mondo (11).
E, siccome i mali da cui il Sacro Cuore di Gesù ci deve preservare crescono giorno dopo giorno, è evidente che giorno dopo giorno si accentua l’attualità di questa incomparabile devozione.
Tuttavia, è necessario aggiungere che, nell’aggravarsi dei mali contemporanei, la Provvidenza ha quasi voluto superare sé stessa indicando agli uomini come oggetto della loro pietà il Cuore di Maria, che in un certo modo perfeziona e porta alla sua pienezza il culto al Sacro Cuore di Gesù. Gli studi e la devozione cordimariana non sono nuovi. Tuttavia ci sembra che la semplice lettura dei messaggi di Fatima mostri con quanta insistenza la Madonna li vuole per i nostri giorni. La missione da Lei affidata a suor Lucia è stata specialmente quella di restare sulla terra per attirare gli uomini al Cuore Immacolato di Maria.
Spesso questa devozione è raccomandata durante le visioni. Il Cuore Santissimo ci appare anche, nella seconda apparizione, coronato di spine per i nostri peccati, a chiedere la preghiera riparatrice degli uomini. Ci sembra che questo punto in qualche modo compendi in sé tutti i tesori dei messaggi di Fatima.
Dunque, nel loro insieme, le apparizioni di Fatima da un lato c’istruiscono sulla terribile gravità della situazione mondiale e sulle autentiche cause dei nostri mali. E d’altro lato c’indicano i mezzi attraverso i quali dobbiamo evitare i castighi terreni ed eterno, che ci minacciano. Agli antichi Dio ha mandato profeti. Ai nostri giorni ci ha parlato attraverso la stessa Regina dei Profeti. Perciò, studiando quanto la Madonna vuole, che dire? Le uniche
parole adeguate sono quelle di Nostro Signore nel Santo Vangelo: chi ha orecchie per intendere, intenda (12)…

(Plinio Corrêa de Oliveira, Tratto da Cristianità 14 — N. 317 maggio-giugno 2003)

 

Note

(1) Cfr. Fátima, o acontecimento capital do seculo XX, in Catolicismo, n. 28, Campos (Rio de Janeiro) aprile 1953, senza paginazione ma p. 3, rapida esposizione degli accadimenti verificatisi nel 1917 nel villaggio portoghese e dei messaggi trasmessi nelle diverse occasioni e in seguito; Più ampiamente, cfr. ANTONIO AUGUSTO BORELLI MACHADO, Fatima: Messaggio di Tragedia o di Speranza? Con la terza parte del segreto, trad. it., Luci sull’Est, Roma 2002.

(2) Nel 1953, l’Immagine Pellegrina della Madonna di Fatima — una delle quattro scolpite nel 1946, in cedro brasiliano, dallo scultore portoghese José Ferreira Thedim (1892-1971), con la supervisione di suor Lucia — percorre l’intero territorio del Brasile, raggiungendo anche la diocesi di Campos, nello Stato di Rio de Janeiro: cfr. HALVÉCIO ALVES, Acolhimento triunfal à Virgem de Fátima, in Catolicismo, anno LII, n. 629, San Paolo maggio 2003, p. 41.
Nell’occasione sul mensile Catolicismo, allora edito appunto a Campos, compaiono due articoli dei quali viene proposta la traduzione.

(3) «Sacrificatevi per i peccatori e dite molte volte e in modo speciale quando fate qualche sacrificio: “O Gesù, è per amor vostro, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria”» (A. A. BORELLI MACHADO, op. cit., p. 40, nel corso della terza apparizione, del 13 luglio 1917).

(4) «O Gesù mio, perdonateci, liberateci dal fuoco dell’inferno, portate in cielo tutte le anime, soprattutto le più bisognose» (ibid., pp. 45- 46, sempre nel corso della terza apparizione).

(5) PIO XI, Enciclica sulla riparazione dovuta al sacratissimo Cuore di Gesù «Miserentissimus Redemptor», dell’8-5-1928, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 5, Pio XI (1922- 1939), ed. bilingue, EDB. Edizioni Devoniane Bologna, Bologna 1995, pp. 322-349 (pp. 340- 341).

(6) Ibid., pp. 342-343.

(7) PIO XII, Discorso agli Uomini di Azione Cattolica d’Italia «Nel contemplare», del 12-10-1952, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIV, pp. 355-362 (p. 359).

(8) Cfr. DOM JEAN-BAPTISTE CHAUTARD O.C.S.O., L’Anima di ogni Apostolato, trad. it. dal testo critico integrale, Luci sull’Est, Roma 2002.

(9) Cfr. Lc. 10, 38-42.

(10) A. A. BORELLI MACHADO, op. cit., p. 57.

(11) Associazione di carattere religioso in cui i fedeli partecipano all’instaurazione del regno del Sacro Cuore mediante i meriti delle loro azioni, offerte quotidianamente; ideata e fondata dal gesuita francese François-Xavier Gautrelet (1807-1886) e organizzata dal gesuita pure francese Henry Ramière (1821-1884).

(12) Cfr. Mt. 13, 43; Mc. 4, 9; e Lc. 8, 8; e 14, 35.

Bruto Maria Bruti

 

Bruto Maria Bruti viveva a Pedaso in provincia di Ascoli Piceno con la moglie Laura e i tre figli Carlo, Gabriele e Raffaele. Medico chirurgo, diplomato in terapia olistica, specialista in odontostomatologia e in psicoterapia cognitiva e comportamentale, insegnava Metafisica e Psicologia e Psicopatologia dei comportamenti sessuali presso l’Università Europea di Roma.

Militante di Alleanza Cattolica da oltre trent’anni, collaboratore di Cristianità, ha partecipato con entusiasmo fin dall’inizio alle attività dell’associazione Obiettivo-Chaire. E’ mancato il 6 maggio 2010 all’età di 55 anni, nell’ospedale di Ancona.

Tutti coloro che lo hanno conosciuto ricordano la sua straordinaria amabilità, la sua grande attenzione per i problemi e le sofferenze di chi lo incontrava e anche la sua capacità di cogliere in profondità gli aspetti più negativi della rivoluzione sessuale penetrati nella cultura e nei costumi del mondo occidentale a partire dal 1968.

Bruto non aveva timore di sostenere pubblicamente verità scomode e politicamente scorrette, soprattutto in tema di omosessualità e ideologia di genere: proprio nelle ore in cui veniva chiamato da Dio al riposo eterno, venivano pronte le ultime bozze di un suo libro, edito da Sugarco, “La nostra sessualità. Felicità, desiderio e piacere nell’essere umano.”

Enzo Peserico

Sesto San Giovanni, Milano, 20 ottobre 1959 – Re, Novara, 1 gennaio 2008

Enzo nasce il 20 ottobre 1959 nella Stalingrado d’Italia, a Sesto San Giovanni, la città simbolo del comunismo italiano, dove ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso era difficile immaginare una proposta culturale e una presenza politica che non s’ispirasse all’ideologia dominante. Ma Enzo accetta questa sfida e fin dagli anni del liceo scientifico, frequentato sempre nella sua città natale, si convince della importanza di questa battaglia di libertà contro l’oppressione dell’ideologia e così assume pubblicamente un’identità anticomunista.
Negli stessi anni, conosce e s’impegna in Alleanza Cattolica dove per trent’anni svolgerà il suo apostolato religioso e culturale, esemplare per la generosità e per l’intelligenza, soprattutto per la straordinaria attenzione ai bisogni delle persone, che sapeva individuare attraverso una grande capacità di ascolto e di analisi, e prevenire, perché nessuno si sentisse umiliato.
Chi lo ha conosciuto già allora ha potuto verificare nel tempo il profondo lavoro della Grazia su di lui. Dotato di un carattere non facile, forte e schietto, ha saputo combattere la più grande e difficile delle battaglie, accogliendo i suggerimenti che il Signore, con la mediazione della Madonna che Enzo tanto amava, gli proponeva per diventare, attraverso un faticoso combattimento interiore, quello che tutti abbiamo poi conosciuto e amato.
Questa grande battaglia interiore viene combattuta già dagli anni dell’università, in Cattolica, dove si laurea in Giurisprudenza nel 1983 con una tesi su un tema, il Sessantotto, che continuerà a studiare e con il quale si confronterà per tutta la vita.
Dopo avere percorso l’itinerario formativo che molti di noi hanno sperimentato nell’associazione alla quale aveva aderito, nella seconda metà degli anni 1970, Enzo costituisce, con quelli che saranno gli amici più cari, e poi guida la croce dedicata e protetta da san Sebastiano martire, una delle più importanti fra quelle che hanno permesso l’esistenza e il radicamento di Alleanza Cattolica nella città di Milano.
Dopo la laurea e l’inizio dell’attività professionale in una grande azienda milanese, Enzo sposa Sabrina Pagani il 1° ottobre 1988. Dal loro felice matrimonio nasceranno Carlo, Francesco, Sebastiano e Lorenzo, e accanto alla comunità familiare si costituirà anche una altrettanto feconda comunità professionale, nel campo del diritto del lavoro.
Poche persone hanno saputo, come Enzo, coniugare legami familiari, impegno professionale e militanza cattolica in un’unica testimonianza, che sapeva certamente distinguere gli ambiti, ma per unire, per legare, per tenere insieme.
È proprio questa straordinaria capacità di relazione la sua più grande e più bella eredità. Una capacità di relazione che non è rimasta soltanto legata alla sua pur preziosa persona, ma che ha saputo costituire ambienti, occasioni, realtà che dovranno continuare.
Queste realtà nascono in qualche modo tutte dalla sua riflessione sul Sessantotto. Enzo sapeva che quella Rivoluzione culturale aveva colpito soprattutto le famiglie e i giovani e così a giovani e famiglie dedicherà gli ultimi dieci anni della sua vita. Il suo impegno nasceva certamente dallo studio e dall’analisi, storica e culturale, ma anche dalla consapevolezza che la rivoluzione del Sessantotto si era radicata soprattutto nelle tendenze delle persone e dunque comportava la costituzione di ambienti, dove queste tendenze potessero essere rieducate, anche attraverso l’esempio. Così il suo ufficio, la sua casa erano luoghi dove lui e Sabrina offrivano generosamente e costantemente il loro tempo, i loro consigli, per organizzare e per incontrarsi.
Questo impegno ha dato molti frutti. Uno di questi è certamente il saggio “Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto: terrorismo e rivoluzione”. Un libro ben costruito, ricco di riferimenti bibliografici, frutto di tante letture, ma soprattutto un libro pensato per l’apostolato, per quelle centinaia di giovani che Enzo ha incontrato e continuava a incontrare, per aiutarli a crescere, spiritualmente e intellettualmente, affinché diventassero delle persone pronte a rendere a Dio la gloria che merita. Accanto ai giovani le famiglie, per le quali ha dedicato tanto tempo con lo stesso entusiasmo e con la medesima intelligenza, consapevole che nessuno potrà mai sostituirsi alla famiglia nell’educazione dei figli e perfettamente cosciente di quanto la famiglia sia stata ferita dai disastri culturali ed esistenziali provocati dal Sessantotto.
Un libro che, quel primo pomeriggio del 1° gennaio, mi ha messo fisicamente in mano, dicendo che aveva pensato all’Isiin, l’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, per aiutarlo a completare l’opera, prima della pubblicazione. E così è stato.


Autore: Marco Invernizzi

 

Marco Tangheroni

Pisa, 24 febbraio 1946 – 11 febbraio 2004


Scompare la figura di un illustre medioevista, cattolico impegnato e perciò ignorato dal mondo accademico, segnato dalla Croce.
Il professor Marco Tangheroni, medioevista di pregio dell’Università di Pisa, è deceduto nel pomeriggio di mercoledì 11 febbraio. Le sue condizioni di salute erano precarie da lungo tempo, ma negli ultimi giorni si erano aggravate in maniera che oggi sappiamo irreversibile. Eppure, con quell’atteggiamento tipicamente umano che mai vorremmo divenisse però troppo e solo umano, Tangheroni sembrava destinato a non andarsene mai.
È paradossalmente più facile scrivere in morte di quegli spiriti grandi e lontani che ammiriamo, ma che stanno là, sulle copertine dei libri o nelle accademie. La distanza, che non diminuisce il rispetto, aiuta, protegge. Pensare, invece, in questi frangenti, di porre mano alla penna per parlare di una persona vicina, che si è conosciuta, frequentata, amata e stimata, una persona con cui si è pranzato e riso, discusso e militato, e da cui soprattutto si è molto imparato, imbarazza, quasi paralizza. Ci si sente – ed è proprio il caso del sottoscritto – come si sentivano nei confronti della Gente Alta quei piccoli hobbit creati dal genio letterario di un autore che Tangheroni apprezzava profondamente: sovrastati, superati e quindi “intimoriti”.
La prima cosa che ho imparato da Marco Tangheroni mi è rimasta fissa nel cuore; e, proprio perché fu la prima, resta la più immediata, la più difficile da scordare. Erano i tempi in cui muovevo i primi passi in un mondo più grande (ma ogni giorno si muovono primi passi in mondi più grandi, sempre più grandi…) accorgendomi non tanto dell’esistenza di “maestri” (mai termine è stato più abusato…), quanto del fatto che nell’esistenza uno di padri ne ha molti. Ovvero scopre di averne molti: insospettati, “strani”, ignorati o scordati per anni, putativi e adottivi, ma sempre fondamentali. Marco Tangheroni, storico attento, usava dire che la storia si fa con i “se” e con i “ma”.
Oggi va di moda chiamarla “storia parallela” (sottobranca di quella che si definisce ucronia), ma per Tangheroni era il modo di sottolineare l’imponderabilità del fattore umano, ossia la grandezza della libertà della persona che nessun riduzionismo deterministico può cancellare. Era il suo modo di fare storia in maniera attenta al suo soggetto principe, l’uomo, senza sacrificarlo agli umanesimi senz’anima. Era il suo modo di raccontare la vicenda umana (l’uomo è l’unico essere creato che sappia dare valore al tempo e quindi fare storia) contro ogni ideologia.
Nato a Pisa il 24 febbraio 1946, in questa stessa città Tangheroni studia per poi laurearsi all’Università di Cagliari con una tesi su Gli Alliata. Una famiglia pisana del Medioevo, relatore il professor Alberto Boscolo (1920-1988). Docente nelle università di Cagliari, di Barcellona, di Sassari e di Pisa, dove è stato professore ordinario di Storia Medievale e direttore del Dipartimento di Medievistica fino alla morte pochi giorni fa, nei suoi studi ha toccato i più diversi aspetti della realtà medioevale, da quelli economici a quelli religiosi, indirizzandosi soprattutto all’area mediterranea. Autore di diversi volumi sulla storia di Pisa, della Toscana e della Sardegna, oltre a un centinaio di articoli scientifici su riviste italiane e straniere, ha pubblicato, fra l’altro, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel trecento (Pacini, Pisa 1973; n. ed. Plus, Pisa 2002); La città dell’argento. Iglesias dalle origini alla fine del Medioevo (Liguori, Napoli 1985) e Medioevo Tirrenico (Pacini, Pisa 1992). La sua ricerca ha poi trovato espressione compiuta nell’opera Commercio e navigazione nel Medioevo (Laterza, Roma-Bari 1996). Collaboratore dei Il Messaggero Veneto, Avvenire, Secolo d’Italia, il Giornale e L’Unione Sarda, nonché alle riviste Cristianità, Jesus, Storia e Dossier e Medioevo, ha curato l’edizione italiana di opere di grande valore storico, fra cui il volume di Jacques Heers, La città del Medioevo (trad. it., Jaca Book, Milano 1995) e ha collaborato alla redazione del quinto volume di The New Cambridge Medieval History, dedicato al periodo compreso fra il 1189 e il 1300, curato da David Abulafia e pubblicato nel 1999 dalla Cambridge University Press.
Militante dell’associazione civico-culturale Alleanza Cattolica dal 1970, ne è stato socio fondatore dalla sua costituzione giuridica nel 1998, svolgendo un’intensa attività di conferenziere, sia su temi specificamente storici, sia su temi connessi alla dottrina sociale della Chiesa e all’attualità politica.
Tangheroni, infatti, era uno specialista del Medioevo, ma i suoi scritti e i suoi interventi pubblici – dedicati per esempio alla rivoluzione cosiddetta francese o alla storiografia nazionalista di Gioacchino Volpe – brillano ancora oggi per lucidità e per sapidità. Alla Fondazione Volpe, del resto, Tangheroni legò a suo tempo il proprio nome, nel tentativo, in anni oramai lontani e molto diversi da quelli attuali, di offrire un’alternativa culturale credibile a un Paese, il nostro, che, fra relativismo e catto-comunismo, sembrava aver perso la bussola.
Fu proprio per i tipi di Giovanni Volpe, infatti, che Tangheroni promosse e curò personalmente le edizioni italiane di due opere straordinarie, sia per i loro meriti intrinseci, sia per il carattere dirompente che la loro pubblicazione ebbe in un clima assolutamente ostile: Ritorno al reale. Nuove Diagnosi di Gustave Thibon nel 1972 e Luce del medioevo di Régine Pernoud nel 1978. Due opere provenienti dalla Francia e assolutamente “controcorrente”, che Tangheroni riuscì a far portare in lingua italiana dall’editore Volpe su indicazione di Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica. Nella prima, Gustave Thibon, un vignaiolo autodidatta del Midi francese (colui che, tra l’altro, salvò Simon Weil dalla persecuzione antiebraica) riempiva pagina dopo pagina di aforismi e di pensieri implicitamente alla scuola della filosofia che oggi – dopo gl’importanti studi svolti da monsignor Antonio Livi – definiremmo del “senso comune”, ottenendo così la stima e il rispetto (anche per le sua capacità di arguzia filosofica, per esempio nei riguardi della speculazione tomista) di Jacques Maritain, di Gabriel Marcel e di Marcel de Corte (quest’ultimo amico personale e maestro, questa volta sì, di Tangheroni stesso). La traduzione in lingua italiana di Ritorno al reale venne pubblicata con questa dedica thiboniana autografa: “Ai giovani amici pisani che hanno voluto l’edizione italiana di questo libro, all’editore Giovanni Volpe che lo ha pubblicato, con viva amicizia e gratitudine”. I “giovani amici pisani” erano il nucleo locale di Alleanza Cattolica, “capitanato” da Marco Tangheroni.
Nella seconda, Régine Pérnoud – una storica ignorata dalla “cultura ufficiale, forse solo perché rea di dire la verità, e di documentarla, sull’epoca più bistratta di tutta la storia occidentale – compila una sorta di manualetto controcorrente rispetto alla cattiva vulgata che circola a proposito della Cristianità romano-germanica, spregiativamente, illuministicamente detta “Medioevo”.
Tangheroni descriveva la Pernoud (tra l’altro frequentatrice dello stesso padre spirituale, il domenicano Joseph-Marie Perrin, che aveva messo in contatto Thibon e la Weil) come una specialista sui generis solamente perché… svolgeva appieno il mestiere dello storico. Non senza qualche ragione, Umberto Eco – che Tangheroni attaccò senza mezzi termini per quel suo Il nome della rosa, che del cosiddetto “Medioevo” offre un’immagine bugiarda – ha scritto che tutti i libri sono in realtà libri di libri, in questo imitando Jorge Louis Borges. Eppure per uno storico non dovrebbe essere così. Tangheroni sottolineava che la Pernoud non si limitò a compilare le proprie opere come centoni delle opere di altri, i quali a loro volta usano libri di altri storici, e così via non tanto all’infinito quanto in un cerchio eternamente autoreferenziale. La Pernoud si differenziava da molti suoi colleghi – soprattutto francesi – più noti e coccolati dai media e dalla “cultura ufficiale” perché restava e sempre partiva dai documenti, dalle biblioteche, dai fondi di archivio. Sembra un assurdo, ma in realtà pochi lo fanno.
Ebbene, Tangheroni era come la Pernoud. Chi fosse chiamato a elencare i grandi storici contemporanei della nostra Italia, forse si scorderebbe di ricordare il medioevista pisano: e questo, ancora una volta paradossalmente, proprio perché, lontano dalle luci della ribalta e dalla smania per i media che travolge anche i professionisti in tesi più integerrimi, Tangheroni ha svolto davvero il lavoro dello storico. Forse ce ne si renderà conto solo in futuro, in un mondo diverso da quello attuale.
Ma, lungi dall’essere un topo esclusivamente di biblioteca, il professor Marco Tangheroni fu animato anche dalla passione per le sorti civili e politiche di questo Paese, e alla bisogna non esitò mai a schierarsi apertamente. Dire che non lo fece a sinistra sarebbe un eufemismo, addirittura un understatement. Cattolico integrale, sapeva bene che la vittoria non è di questo mondo e tantomeno il paradiso: sapeva però altrettanto bene quanto sia importante lasciare da questa parte del Cielo un poco di ordine in più affinché le persone possano essere aiutate a non smarrirsi.
Diceva Thibon: “Porto in me dei morti più viventi che i vivi. Il mio più grande desiderio è quello di ritrovarli”. Ora Marco Tangheroni è un amico in più Là dove sul serio conta. Pax tibi Marce.


Autore: Marco Respinti

 

La bellezza di una vita donata

di don Giovanni Poggiali

Ricordo la morte prematura, nel 1989 a 36 anni, di un sacerdote della mia parrocchia a Milano, Don Giorgio Ciani, che così scrisse nel suo testamento già vergato nel 1983: “Sono contento di vivere questa “fuggevole esistenza”; sono contento di essere prete; sono contento di essere prete, qui adesso!“. La testimonianza di questo buon prete lombardo, riecheggia le parole lapidarie di Sant’Ambrogio Vescovo di Milano (340-397): “Cristo è tutto per noi“, che ci ricordano il fondamento della nostra speranza e l’elemento originario per comprendere in profondità il nostro sacerdozio: apparteniamo a Colui che è la Via, la Verità e la Vita (cf. Gv 14,6), a Colui “che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1,6), a Colui che ha versato il proprio sangue e non sangue di capri e di vitelli per strapparci dalla morte e conquistarci una redenzione eterna (cf Eb 9,12), per farci partecipi della sua natura divina (cf 2 Pt 1,4).

Servizio alla gioia

E’ la bellezza straordinaria di Gesù, “autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2), che vogliamo testimoniare ed annunciare con la nostra vita sacerdotale ed il nostro servizio alla Chiesa e al mondo. Questo servizio, come ribadito recentemente da Papa Benedetto XVI, è un servizio alla gioia (cf 1 Cor 1,24): “La missione affidata ai sacerdoti è veramente un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che brama irrompere nel mondo” (Benedetto XVI, Santa Messa del 18 aprile 2010, Floriana – Malta).

Scopo della vocazione

Nell’Anno Sacerdotale, è importante ricordare quale è lo scopo della nostra vocazione, per non scoraggiarci: è la santità, la perfezione dell’amore, una vita donata e offerta per Cristo e i fratelli. La gran parte dei sacerdoti desidera questo, è giusto ribadirlo. Ciò può sembrare difficile, irraggiungibile, per alcuni forse desueto, ma “l’amore di Cristo ci spinge” (2 Cor 5,14) a offrire noi stessi per Lui: “Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?… Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,35-39). La santità personale per la santificazione dei fedeli diventa un dono e un compito affascinante nella sequela di Cristo.

La pienezza dell’umano in Cristo

L’Apostolo Paolo, con la sua fortezza e la sua passione per Cristo, il Santo Curato d’Ars e milioni di santi testimoni, ci ricordano questa verità: non c’è vita più bella che una vita donata per Cristo, non c’è esistenza umana pienamente vissuta che non sia segnata da Cristo, non c’è vocazione o scelta nella vita che possa portare ad una pienezza e ad una realizzazione autentica senza Cristo. Egli è la sorgente e il compimento dell’umano. Egli ci amati per primo ed è alla fonte di ogni cosa, del nostro essere e del nostro operare e in Lui Dio Padre ci ha benedetti nei cieli (cf Ef 1,3). Il Sacerdote è alter Christus, un altro Cristo, e quando celebra l’Eucaristia, che solo lui può offrire come solo lui può perdonare in nome di Gesù, agisce in persona Christi: Cristo opera in lui e l’uomo offre le sue mani, i suoi gesti, le sue parole, tutto se stesso per trasmettere (tradizione) Gesù Cristo. Pur essendo servo inutile, è indispensabile per Cristo, mentre tutti gli altri sono utili ma non indispensabili. Cristo vuole dipendere dal suo ministro per entrare realmente nelle pieghe della storia e redimerla!

Nell’Eucaristia, nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, in Maria, il sacerdote trova l’alimento della sua vita: nemo dat quod non habet, nessuno dà ciò che non ha, e occorre essere conquistati da Cristo (cf Fil 3,12), conoscerlo, frequentarlo, amarlo, seguirlo per farlo conoscere, farlo frequentare, farlo amare, farlo seguire. Non sentiamo il bisogno di preti assistenti sociali o preti copertina, di burocrati o funzionari. Neanche di preti che contestano il Papa e il Magistero: la forza del Magistero non sono le argomentazioni ma la sua stessa autorità e oggi non c’è più il rispetto dell’autorità (vedi l’illuminante articolo di Mons. Giampaolo Crepaldi, Gli antipapi e i pericoli del magistero parallelo, www.zenit.org – 21 marzo 2010). Vogliamo, e noi dobbiamo esserlo, preti che ci parlano di Dio, ci donano gioia, entusiasmo, passione per questa vita e la vita eterna, parole di consolazione e di speranza. Che ci donano la Verità posseduta non per merito ma da cui sono posseduti per Grazia. Così sono stati i santi. Papa Benedetto, nell’udienza del 28 aprile scorso, ha citato le parole di san Leonardo Murialdo (1828-1900) che chiamava il sacerdozio “scelta di predilezione” e che scriveva: “Dio ha scelto me! Egli mi ha chiamato, mi ha perfino forzato all’onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro, di essere “un altro Cristo””.

Una testimonianza episcopale

Il Patriarca di Venezia, Cardinal Angelo Scola, il 1 aprile scorso nella Messa Crismale, ha detto ai suoi sacerdoti queste significative parole: “Nella consapevolezza che siamo tenuti in ogni istante per mano dal Padre misericordioso che ci ama per primo acquistano ogni giorno la loro decisiva forza quelle pratiche virtuose che abbiamo imparato fin dai tempi del seminario. Ringraziare il Signore fin dal primo mattino per averci creato, offrirGli le azioni della giornata. Recitare il breviario con cura, celebrare la Messa quotidiana, visitare Gesù sacramentato, pregare Maria, confessarsi assiduamente, non abbandonare lo studio necessario per il nostro ministero. (…) In una parola chiedere con umiltà ogni giorno il dono di diventare santi”. Questa è bellezza che porta frutto, che allontana lo scoraggiamento, che rende felice il sacerdote. La sua vita non è esente da croci, prove, tentazioni, come la vita di ogni uomo. Ma le croci, prove e tentazioni non diventano uno scandalo, non schiacciano, non deprimono il prete che ha sempre lo sguardo fissato su Cristo (cf Eb 12,2), che prega con umiltà, che dona se stesso e che si sforza di amare tutti coloro che Dio gli ha affidato.

Con cuore indiviso

È importante sottolineare ancora la grandezza del celibato. Questa legge della Chiesa latina non è per chiudere il sacerdote nella solitudine ma per donarlo a tutti gli uomini, sull’esempio di Cristo Sacerdote. Non è una menomazione psicofisica né tantomeno spirituale. Con cuore indiviso, il sacerdote ama tutti ma non è di nessuno se non di Cristo. Appartiene a Lui, e non è mai solo. Ed è più dentro alle cose degli uomini degli uomini stessi, anche se non le vive direttamente, come per esempio il matrimonio, ma la grazia del Sacramento dell’Ordine agisce attualmente donando gli aiuti necessari per comprendere. Il prete non è un indifferente, si appassiona all’umano, tutto, con cuore indiviso. Frequentando l’umanità ferita, dolorante, segnata nel profondo impara ad amare e riceve molto più di ciò che dona. Le relazioni che instaura con gli altri sono, spesso, di una pienezza e di un’autenticità uniche, vere, reali. Diventa punto di riferimento e sostegno per molti, avendo l’accortezza di non fermare nessuno presso di sé ma di orientare all’Unico che salva, che è Gesù Cristo. Piange con chi piange, ride con chi ride, ama molto l’amicizia e cerca di portare i pesi degli altri (cf Gal 6,2), offrendo al Signore durante la Messa tutti coloro che ha conosciuto, che ha confessato, che ha battezzato, che ha comunicato, che ha incontrato magari solo con uno sguardo fugace e che gli si sono raccomandati. Affida gli stessi al Signore, alla sera, durante la preghiera di Compieta, con la quale termina le giornate chiedendo perdono per sé e per loro, perché la Misericordia di Dio sani le ferite causate dai peccati. Spesso, con gratitudine, apre le braccia e le mani a Dio che è Padre, le impone sul capo di chi desidera una benedizione, porta sollievo ai malati e nella Liturgia rende grazie ed intercede per i vivi e per i morti offrendo il Sacrificio dell’altare. Dio, ciò che di più grande l’uomo possa desiderare, è fra le mani di un peccatore sotto le specie di un po’ di Pane e di un po’ di Vino. Che grande dono e che dignità è il sacerdozio, riversato in vasi di creta! (cf 2 Cor 4,7).

“Magnifico compito”

Papa Benedetto, nella Santa Messa a Malta già citata, ha ricordato ai sacerdoti il senso e la bellezza del loro ministero: “Ricordate anche la domanda che il Signore Risorto ha rivolto tre volte a Pietro: “Mi ami tu?”. Questa è la domanda che egli rivolge a ciascuno di voi. Lo amate? Desiderate servirlo con il dono della vostra intera vita? Desiderate condurre altri a conoscerlo ed amarlo? Con Pietro abbiate il coraggio di rispondere: “Sì, Signore, tu sai che io ti amo” e accogliete con cuore grato il magnifico compito che egli vi ha assegnato”.

Bibliografia

Visita a Malta di Benedetto XVI, 17-18 aprile 2010. Cf. sito visitato il 28.4.2010
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/travels/2010/index_malta_it.htm

Joseph Ratzinger, Servitori della vostra gioia. Meditazioni sulla spiritualità sacerdotale, Ancora, Milano 2002 (3° ed.).