Il pensiero del giorno

RESURREZIONE FINALE: IL DOGMA DIMENTICATO

  • di don Andrea Nizzoli

 La pienezza dell’immortalità non è comprensibile a prescindere dalla corporeità. 

 

“ La speranza cristiana consiste nella resurrezione della carne “  ( Tertulliano 160 – 220 ca, De resurrerctione, 1).

Affermazione direttamente legata a ciò che il Nostro Salvatore ci ha mostrato nei quaranta giorni dopo la Sua resurrezione, in quelle che vengono chiamate “ Le Apparizioni del Risorto “, coronate con la Sua ascensione al cielo. Vi sono quattro punti forti nei Vangeli che sottolineano questa grande novità di vita:

  1. La tomba vuota di Cristo
  2. Il modo in cui il salvatore si presenta tangibilmente e non solo in forma di visione
  3. L’accertamento da parte dei discepoli che sono invitati a toccarlo
  4. Il corpo trasfigurato in bellezza, non più destinato al sepolcro, subitamente non è riconosciuto dagli apostoli, ma poi poterono toccare le sue piaghe.

Tante culture religiose hanno tentato di amare la vita, ma solo riguardo all’anima si parla di immortalità. Ma la nostra anima abbisogna di un corpo di carne, che non è solo un accidente dello spirito, ma materia sostanziale per qualunque sua espressione vitale. Una casa senza finestre, è l’anima senza il corpo e i suoi cinque sensi.

Gesù Cristo è la magnificenza del creato e con Lui nulla andrà perduto.

Dietro l’impegno che profondiamo, verso la cura della salute personale, la farmaceutica, sport e bellezza estetica, c’è “ Lui “,  risorto, con un corpo trasfigurato in pienezza di grazia.

Un residuo di polvere non può non certo muovere a tanto costante impegno; anche il mondo della scienza ne trae finalità e fecondità per un santo dialogo. La scienza è il dono più grande che la filosofia ha fatto alla modernità, ma è la fede cristiana che sorretto il pensiero realista della filosofia.

Nella tradizione ebraica e persiana troviamo chiaro riferimento alla risurrezione della carne con una differenza sostanziale. Nell’ebraismo è l’onnipotenza di Dio che interviene sulla polvere dell’uomo a ridare la vita; nella cultura persiana dove non si praticava la sepoltura, i corpi erano lasciati esposti agli elementi atmosferici, i quali sempre per via naturale, ridavano vita alle persone meritevoli di vita eterna.

Nel Nuovo Testamento vi è una grande novità legata direttamente alla persona del salvatore, per cui la resurrezione accadrà non solo grazie all’Onnipotenza divina in senso generale, ma grazie alla resurrezione di Cristo per opera dello Spirito Santo.

La Resurrezione del Signore, specifico: nella sua corporeità, è il primo atto della glorificazione della materia. Il corpo di Cristo non può ora che essere che in un luogo fisico adeguato alla carne.

 Abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste (1 Cor 15, 49).

Ci rivedremo tutti spirito, anima e corpo nel regno di Dio – cioè in un luogo confacente alla nostra carne – nei cieli nuovi e nella terra nuova.

 Sant’Ireneo nella sua opera Adversus Ereses (9, 4)  conferma la promessa più audace che possiamo leggere nel Vangelo :

– Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6,54).

Ireneo, sottolinea quest’affermazione dell’apostolo che Gesù amava e accentua il momento Eucaristico, in riferimento alla salvezza del cosmo, quale pegno della resurrezione finale:

“ Come il pane terreno, ricevuta la divina invocazione, non è più pane comune ma Eucarestia, composta di due elementi, terrestre e celeste, così i nostri corpi, ricevendo l’Eucarestia non sono più corruttibili, ma portano la speranza della risurrezione “ (Adversus Ereses, IV, 18,4).

Nei Padri della Chiesa l’Eucarestia è definita:

“ Medicina di Immortalità “, intimamente legata alla pienezza della vita.

La grande novità della dottrina sulla resurrezione dei corpi ebbe grande sottolineatura in epoca patristica, da cui le sintetiche penetranti parole di Tertulliano:

“ Nessuno vive così immerso nella sua carne come coloro che negano la risurrezione della carne “

( De Resurrectione 1,11); parole successivamente ufficializzate nel concilio Lateranense IV: “ Tutti risorgeranno con i corpi di cui sono ora rivestiti, per ricevere, secondo che le loro opere siano state buone o malvagie gli uni la pena eterna, gli altri la gioia eterna (DH 801).

Nessuno al mondo è mai stato così egoista da dire io non muoio; la fame di un pane di vita eterna è sempre stato il tormento di tutte le generazioni.

Questo grande insegnamento non fu mai messo in dubbio nel periodo Medioevale, ma con i riformatori prima e poi nell’epoca moderna, perde fecondità sia dal punto divista intellettuale che scientifico, anzi tutto per quell’individualismo etico di luterana memoria e così si offusca la visione cosmico-sociale della salvezza, ciò per quattro fondamentali cause:

  1. L’insegnamento di papa Benedetto XII°, secondo cui la salvezza si compierebbe immediatamente dopo la morte (cfr. Benedictus Deus, 1336, DH 1000). Fu interpretato in modo erroneo, come propendente alla sola resurrezione dell’anima.
  2. La ripresa in campo filosofico della terminologia platonica, se non la visione stessa, dopo il distacco dall’aristotelismo di S. Tommaso,
  3. e la successiva propensione a considerare preponderante lo spirito umano cioè la rex cogitans di Cartesio, rispetto alla rex estensa cioè alla corporeità.
  4. Kant è il culmine di un certo processo, come esprime nella sua opera

“ La Religione nei limiti della semplice ragione “:

– non poteva vedersi la ragione di trascinarsi dietro, per tutta l’eternità, un corpo che, per quanto purificato fosse, risultava in fin dei conti sempre fatto di materia.

Esito finale di questo percorso è un’idea di salvezza collegata unicamente alla dimensione spirituale-immortale della sola anima, provocando un distacco crescente dalla resurrezione dei corpi alla fine dei tempi. Accadimento di portata ben superiore a qualunque idea umana di salvezza della sola anima,

 la quale coinvolge anche il giudizio universale di fronte al Padre e a tutta l’umanità.

Conseguenza logica della separazione tra giudizio universale e resurrezione, sarà il

prevalere di una salvezza intesa in modo moralista soggettivo e individuale, che perde contatto con la dimensione materiale della persona umana e del cosmo.

Tutto ciò unito alla visione neoplatonica decadente di Proclo diffusa nel rinascimento, tendente a spaccare spirito da materia, denigrando quest’ultima, vertente ad una visione meramente simbolica della resurrezione.

Gesù Cristo non ha così più nulla da salvare nell’ambito della materia, che diviene competenza esclusiva delle scienze matematico-fisiche, le quali descrivono senza dare il senso profondo dell’esistenza.

 Purtroppo questa visione è divenuta molto comune nel XX°sec.

Il filosofo Ernst Bloch (1885 – 1977) con la sua teoria della genesi evolutiva del cosmo e della materia culminante con la formazione dell’utopistico Regno di Dio nella storia, toglie a quest’ultima ogni possibile trascendenza.

Il cosmo dell’antichità era inteso in modo fisso e meccanico e ammetteva solo piccoli dinamismi legati alle stagioni.

Un cosmo inteso in tal modo non ammetteva certo la resurrezione se non come un intervento di dell’Onnipotenza di Dio e spazzando via le leggi della natura, quasi come innanzi ad una seconda creazione.

Tanti autori però affermano che un sistema di pensiero morale spirituale, indipendentemente dalla dignità in cui pone l’essere umano, se non si presenta radicato nella quotidianità, fatta di esseri materiali con il loro dinamismo evolutivo e nella corporeità dell’uomo, è poco significativo, poco praticabile e minimamente veritiero.

L’attuale antropologia filosofica, nel suo avanzamento ha un grande riferimento alla corporeità, rispetto allo psicologismo dominate da Cartesio in avanti.

Da tutti questi fattori, il XX° sec è stato caratterizzato dallo sforzo di riappropriarsi dell’aspetto cosmologico e antropologico della salvezza cristiana.

Enoch ed Elia rapiti in cielo in tutta la loro corporeità, fino alle ascensioni al cielo del Salvatore e poi della corredentrice Maria regina, implicano la salvezza come stato di una persona vivente in tutta la sua fisicità, chiaramente posta in un luogo materiale, cioè in cieli nuovi e terra nuova.

Il Padre ristabilirà la sua supremazia definitiva sul creato senza umiliarlo, o distruggerlo ma assecondando e confermando la sua realtà interna, elevando tutto il creato allo splendore del Cristo trasfigurato sul monte Tabor.

Secondo padre Teilhard de Chardin, l’universo evolve verso un Punto Omega corrispondente ad uno stato di perfezione finale a cui corrisponde l’avvento del Cristo Cosmico, secondo il linguaggio originale che il padre gesuita usa, per confermare una comprensione pienamente cristiana del cosmo; sebbene, nello studioso francese, l’azione del Salvatore sembra un po’ troppo esterna al cosmo stesso.

Nel Nuovo Testamento il rapporto tra Cristo e il cosmo è chiaramente intrinseco.

Nella Lettera ai Colossesi 1,16, San Paolo afferma che Dio ha creato l’universo per Cristo.

Lui lo dirige verso la sua perfezione che è il Salvatore stesso, verbo di Dio incarnato, Signore della risurrezione di tutto il cosmo.

Una ulteriore espressione troviamo in Col 1, 17:

“ Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui “, così come in Eb 1, 3:

“ Lui che sostiene tutto con la potenza della sua parola “.

In altre parole, Cristo non è solo causa strumentale tramite cui il creato riceve una forma e nemmeno causa finale verso cui tutto procede; non è estrinseco al creato ma intrinseco, onnipresente nel creato, mantiene tutte le creature, le muove secondo natura, le conduce al loro scopo definitivi perché “ in Lui noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo “ (At 17,28).

Gesù da la vita perché il Padre gli ha concesso di avere la vita in sè stesso (Gv 5, 26).

Il creato è dunque un ente vivente creato, conservato e vivificato e guidato verso la sua perfezione dall’interno, grazie all’opera del Dio fatto uomo.

Tutto verte alla resurrezione finale tanto della persona umana come per il cosmo, mediante la potenza di colui è “ la resurrezione e la vita “ (Gv 11,27).

Grande innovazione e rivelazione in Cristo, rispetto a tutte le dottrine antiche che non avrebbero mai potuto intuire:

 – La Materia corruttibile è stata chiamata da Dio all’eternità.

 Nelle filosofie pre-cristiane si poteva al limite accettare un intervento esterno e violento della potenza divina.

Nella teologia della creazione odierna si è recuperato quel riferimento scritturistico al Salvatore: attraverso Cristo, per Cristo e in Cristo, e quindi una comprensione più dinamica dell’universo fisico con il riassestarsi del versante cosmico della fede nella risurrezione, secondo la più veritiera tradizione cattolica.

In Gesù Cristo non vediamo mai contraddizione tra dimensione spirituale e corporale, posti sempre in veritiera armonia. La sua incarnazione non è interpretabile in alcun modo verso una visione riduttiva della carne. La Sua ascensione avviene dopo una storia di contatto con la materia – Dio era un falegname – anch’essa immagine di Dio.

La fede nella resurrezione finale grazie all’azione dell’Onnipotente, è stato un vettore determinante nel dirigere lo sguardo del credente sulla realtà verso lo sviluppo dell’antropologia e della scienza cristiana. Il cosmo statico e meccanico dell’antichità, poteva al limite accettare un Dio che travolge impetuoso il nostro mondo, in modo assolutamente discontinuo rispetto alla vita, spesso travisabile come puro simbolo di un Dio lontano che si disinteressa di noi.

Cieli nuovi e terra nuova, sono il luogo che il Padre ha disposto, per un uomo redento e salvato anche nella carne.

La modernità con il suo razionalismo ha provocato la perdita di un chiaro riferimento a questo momento così importante della salvezza.

Una rinnovata visione della creazione mediante Cristo, per Cristo e in Cristo, accostata alla visione dell’atomo e del cosmo della scienza odierna, dove tanto è determinato da leggi ferree, ma certo non tutto, lasciando così spazio all’azione di Dio sulla materia sul cosmo, rendono possibili il recupero del versante cosmico della fede nella resurrezione.

“ Le strade della scienza e le vie di Dio sono un unico percorso intellettuale “,

direbbe padre Staley L. Jaki, il dialogo tra fede e scienza è proficuo e conferma scientifica degli insegnamenti della fede, comunque sempre presente nella tradizione della chiesa cattolica.

La Kalenda di Natale: entra nella storia il Signore della storia

di don Emanuele Borserini

Che cos’è

La Kalenda prende il nome dalle prime parole del testo latino di questo particolarissimo componimento liturgico. Esso faceva originariamente parte dell’Ora Prima che non esiste più nel Breviario attuale ed era l’annuncio del mistero celebrato con quell’Ufficio. In latino kalendae è il primo giorno del mese, pertanto il Natale è indicato come l’ottavo giorno prima della kalenda di gennaio, cioè una settimana prima del suo inizio. La Kalenda di Natale, intesa come annuncio della celebrazione, può essere ritenuta speculare all’Exultet della Veglia pasquale anche se hanno una storia e un significato liturgico molto diverso. Attualmente, nella messa papale a Roma viene proclamata in canto prima della Messa della notte e sarebbe buona cosa che questa prassi venisse imitata in tutte le chiese del mondo. Quando è stata introdotta questa prassi, la Kalenda veniva cantata tra i riti iniziali della Messa, ma ora è stata anticipata come un vero e proprio annuncio che aleggia nel silenzio colmo d’attesa di quella particolarissima notte e che si compie con la processione d’ingresso. Questa processione liturgica evoca sempre il mistero di Dio che viene incontro al suo popolo, mistero che ha raggiunto il suo culmine con l’ingresso di Cristo nel mondo, è quindi molto appropriato valorizzarla proprio nelle Messe di Natale.

Il testo della Kalenda si trova nel Martirologio, il libro liturgico in cui sono elencati i santi di cui si fa memoria ogni giorno dell’anno. Sin dai primi tempi della Chiesa, in ogni comunità cristiana c’era l’uso di conservare con cura la memoria dei propri martiri. La coscienza della Chiesa di essere fondata sul sangue dei martiri trova così una delle sue principali espressioni liturgiche insieme alla collocazione delle loro reliquie a fondamento dell’altare su cui la comunità celebra l’Eucaristia. La memoria del nome dei martiri era strettamente legata anche al giorno della loro morte, detto dies natalis, e al luogo dove riposavano le loro spoglie. Questi libri nel tempo si arricchirono con le notizie di eventuali traslazioni delle reliquie degli stessi martiri, della dedicazione delle chiese e i nomi di santi non martiri. Essi costruivano un segno di riconoscimento e fratellanza tra le diverse comunità cristiane che si riconoscevano negli stessi santi, in particolare nei secoli in cui imperversavano le eresie ed era importante per la sopravvivenza delle Chiese intessere rapporti con le altre comunità fedeli alla verità. Oggi, inoltre, essi costituiscono una fonte di preziose notizie per gli studi sulla storia della liturgia e dei Padri della Chiesa. In Oriente trovano un corrispondente nel Sinassario e nel Menologio degli ortodossi. Nel XVI secolo, infine, si decise di unificare i vari martirologi in un solo elenco nel quale trovassero posto tutti i santi e i beati della Chiesa e l’immane opera venne affidata alla proverbiale pazienza e competenza scientifica del cardinale Cesare Baronio, amico e discepolo di San Filippo Neri, suo successore alla guida della Comunità oratoriana della Vallicella e, a detta di molti, il bersaglio preferito degli scherzi del santo. Successivamente, vi furono apportate numerose modifiche fino all’edizione più recente che è del 2001, quando l’emendamento della versione del 1956 si rese necessaria in seguito al numero sterminato di canonizzazioni e beatificazioni celebrate da san Giovanni Paolo II.

Oggi il Martirologio Romano contiene in totale 6538 santi. È da sottolineare che, a volte, il giorno del dies natalis è diverso dal giorno della memoria liturgica del santo, la quale viene fissata secondo altri criteri; per esempio, san Giovanni Battista Piamarta è morto il 25 aprile ma essendo già la festa di san Marco evangelista la sua memoria si celebra il 26; il beato Carlo d’Austria è morto il 1 aprile ma la memoria liturgica è stata fissata il giorno del matrimonio con Zita; di sant’Ambrogio si ricorda soltanto il giorno della consacrazione episcopale e quella è anche la sua memoria liturgica, il 7 dicembre. Nel Martirologio ogni nome è accompagnato da una brevissima nota con il luogo della morte, la qualifica di santo o beato, lo status ecclesiale (apostolo, martire, maestro della fede, missionario, confessore, vescovo, presbitero, vergine, coniuge, vedovo), l’attività principale e il carisma. Ma per il giorno di Natale, l’inizio del mistero pasquale di colui che è “causa e modello di ogni martirio” (Breviario, intercessioni dei secondi Vespri del Comune di un Martire), il testo proposto è particolarmente ricco.

Il testo

Octavo Kalendas Ianuarii, Luna decimaquinta,

innumeris transactis saeculis a creatione mundi, quando in principio Deus creavit caelum et terram, et hominem formavit ad imaginem suam;

permultis etiam saeculis ex quo post diluvium Altissimus in nubibus arcum posuerat signum foederis et pacis;

a migratione Abrahae, patris nostri in fide, de Ur Chaldaeorum saeculo vigesimo primo;

ab egressu populi Israël de Aegypto, Moyse duce, saeculo decimo tertio; 

ab unctione David in regem anno circiter millesimo;

hebdomada sexagesima quinta iuxta Danielis prophetiam;

Olympiade centesima nonagesima quinta;

ab Urbe condita anno septingentesimo quinquagesimo secundo;

anno imperii Caesaris Octaviani Augusti quadragesimo secundo,

toto orbe in pace composito, Iesus Christus, aeternus Deus aeternique Patris Filius, mundum volens adventu suo piissimo consecrare, de Spiritu Sancto conceptus   novemque post conceptionem decursis mensibus in Bethlehem Iudae nascitur ex Maria Virgine factus homo.

Nativitas Domini nostri Iesu Christi secundum carnem!

Venticinque dicembre, luna quindicesima

Trascorsi molti secoli dalla creazione del mondo, quando in principio Dio aveva creato il cielo e la terra e aveva fatto l’uomo a sua immagine;

e molti secoli da quando, dopo il diluvio, l’Altissimo aveva fatto risplendere l’arcobaleno, segno di alleanza e di pace;

ventuno secoli dopo la partenza da Ur dei Caldei di Abramo, nostro padre nella fede;

tredici secoli dopo l’uscita di Israele dall’Egitto sotto la guida di Mosè;

circa mille anni dopo l’unzione di Davide quale re di Israele;

nella sessantacinquesima settimana,secondo la profezia di Daniele;

all’epoca della centonovantaquattresima Olimpiade;

nell’anno 752 dalla fondazione di Roma;

nel quarantaduesimo anno dell’impero di Cesare Ottaviano Augusto;

quando in tutto il mondo regnava la pace, Gesù Cristo, Dio eterno e Figlio dell’eterno Padre, volendo santificare il mondo con la sua venuta, essendo stato concepito per opera dello Spirito Santo, trascorsi nove mesi, nasce in Betlemme di Giuda dalla Vergine Maria, fatto uomo.

Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la natura umana.

Proposte di riflessione

1. La struttura della Kalenda è simile a quella del Prologo del Vangelo di Giovanni che si proclama nella Messa del giorno di Natale (la liturgia del Natale prevede tre formulari di Messe: della notte, dell’aurora e del giorno) perché entrambi indugiano a lungo su uno sguardo “grande”, l’eterna danza della Trinità nel Prologo e la storia universale nella Kalenda, per poi passare repentinamente a concentrarsi su un tempo e un luogo “piccoli”, quelli della nascita di Gesù Cristo nella carne. Il mistero che entrambi narrano è espresso con il loro tipico linguaggio poetico dai tre prefazi di Natale: “nel mistero del Verbo incarnato è apparsa agli occhi della nostra mente la luce nuova del tuo fulgore, perché conoscendo Dio visibilmente, per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle cose invisibili” (Prefazio di Natale I), “egli, Verbo invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta. Generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per reintegrare l’universo nel tuo disegno, o Padre, e ricondurre a te l’umanità dispersa” (Prefazio di Natale II), “in lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti:la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne e noi, uniti a te in comunione mirabile, condividiamo la tua vita immortale” (Prefazio di Natale III). Tutti questi testi ci introducono alla comprensione della celebrazione del mistero dell’incarnazione descrivendola come la stessa dinamica sacramentale: la comunicazione della grazia invisibile di Dio attraverso un evento esperimentabile con i sensi del corpo per poi trascenderli e condurre l’uomo corporeo dentro la sua essenza divina. C’è dunque uno stretto legame tra il Natale e la liturgia. Se la Pasqua è il contenuto e la forza della liturgia, il Natale ne esprime questa struttura fondamentale. È eloquente anche l’impianto teologico delle Messe di Natale: la contemplazione dell’incarnazione in quanto generazione eterna (Messa del giorno) e nascita nella storia (Messa della notte) a cui deve seguire la nascita spirituale nell’anima del cristiano (Messa dell’aurora).

2. Il testo della Kalenda ripercorre alcuni eventi storici molto circostanziati; anzi, si coglie una vera e propria insistenza sui numeri (gli anni trascorsi da tali eventi e addirittura i mesi della gestazione nel grembo di Maria), sui luoghi (Ur dei Caldei, Egitto e Betlemme) e sui nomi (Abramo, Mosè, Davide, Daniele, Cesare Ottaviano Augusto, la Vergine Maria, Gesù Cristo). Nel testo precedente all’ultima riforma liturgica c’era anche il conto, ovviamente ipotetico, degli anni trascorsi dalla creazione, cinquemilacentonovantanove, oggi più pudicamente espresso come “molti secoli”. Questa precisione ha un significato immediato che è quello di ribadire la verità che Cristo è nato davvero nella carne, contro ogni gnosticismo, tentazione anche oggi in agguato. Ma la sua ragione profonda va oltre: essa vuole dire con forza che in lui tutta questa storia trova senso. La storia sacra ma anche quella profana: Gesù Cristo è il Signore del tempo e della storia, “a lui appartengono il tempo e i secoli” (Veglia pasquale). Una storia che passa attraverso le fatiche e i di persone umane che si fidano di Dio aprendosi alla sua Parola e le vicende di innumerevoli uomini che inconsapevolmente collaborano al progetto di Dio, come l’imperatore romano che indice il censimento e i suoi funzionari (cfr. Lc 2). Nulla della storia sfugge all’amore di Dio ed essa raggiunge, nel momento dell’incarnazione, la sua pienezza (cfr. Gal 4,4), momento riconoscibile perché “in tutto il mondo regnava la pace”. Dio entra nel tempo perché a lui sta a cuore tutta l’umanità. Nulla delle nostre vicende è indifferente a Dio, nemmeno le più insignificanti circostanze della vita. Che Dio veda tutto non è una minaccia ma una grande consolazione. La “pienezza del tempo” (Gal 4,4) manifesta il compimento del disegno di Dio sulla storia perché tutta la realtà creata trova il suo senso e la sua coesione profonda solo in rapporto a Cristo, costituito da Dio “alfa e omega, principio e fine” (Veglia pasquale) perché “in Cristo l’universo è creato e tutto sussiste in lui” (antifona al cantico dei Vespri del Mercoledì della seconda settimana del Salterio). Cristo è la “vera luce del mondo” (colletta della Messa della notte), dunque, “chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo” (GS 41). Il Natale è la meta di un lungo cammino con una direzione chiara e una precisa gerarchia: la misericordia che Dio manifesta nell’opera meravigliosa della creazione diventa ancora più evidente e sconvolgentemente reale quando la redenzione di quella creazione ammalata prende corpo. Dice la colletta della Messa del giorno: “O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti” (in latino mirabíliter condidísti et mirabílius reformásti). La redenzione è un miracolo ancora più grande della stessa creazione, tratta da Dio dal nulla.

3. Interessante è il particolare della luna, cioè la fase lunare che, ovviamente, cambia ogni anno e va calcolata con precisione perché il ciclo della luna non corrisponde a quello dei giorni numerati di ogni mese. Quest’anno è la quindicesima luna. C’è dunque, sin dall’inizio della Kalenda, il riferimento all’oggi perché la liturgia non è un vago ricordo di eventi passati ma la certezza della presenza del mistero celebrato. Nei vari formulari della Messe di Natale, l’oggi ritorna spesso: il ritornello del Salmo responsoriale e il versetto dell’Alleluia della Messa della notte, il ritornello del Salmo responsoriale della Messa dell’aurora, il Prefazio di Natale III, la colletta della Messa del giorno. La pienezza del tempo continua oggi e la possiamo riconoscere proprio nella liturgia: oggi accade davanti a noi e per noi il mistero dell’incarnazione di Dio nella storia. Questo significa celebrare il Natale. Oggi egli si fa incontrare, vedere, toccare, sentire nei suoi sacramenti. Se il principio dell’incarnazione fa parte della vita cristiana, la colletta della Messa dell’aurora giustamente chiede: “fa’ che risplenda nelle nostre opere il mistero della fede che rifulge nel nostro spirito”. Nel nostro spirito rifulge, grazie alla celebrazione, la presenza del Signore del tempo e della storia: nelle nostre opere non possiamo che comportarci come uomini che lo hanno incontrato.

4. Nella parte conclusiva della Kalenda incontriamo anche il motivo dell’incarnazione: “volendo santificare il mondo”. La decisione di Dio è libera, è lui che vuole disporre tutti i tempi perché tocchino la pienezza in quel punto, non è quella disposizione raggiunta per caso o altri mezzi che lo obbliga a incarnarsi. Non c’è nulla di magico, come non è una magia che intrappola Dio nei sacramenti. Al contrario, possiamo contemplare il mistero della misericordia di Dio che non si ritira mai dalla storia guidandola con amore provvidenziale. La santificazione del mondo è la ragione profonda dell’incarnazione cioè Gesù che da gloria a Dio compiendo la nostra redenzione (cfr. Gv 17,4): la liturgia eterna che da sempre e per sempre si compie nella Trinità, dove ogni Persona da gloria alle altre, è l’orizzonte dell’incarnazione. In essa tutto inizia e tutto si compie.