Che autorità ha la Chiesa per liberare l’uomo dal male?

Nel suo ultimo saggio don Pietro Cantoni confuta molti preconcetti intorno al demonio e agli esorcismi

di Alessio Biagioni

Leggendo il libro di don Pietro Cantoni, L’oscuro signore – Introduzione alla demonologia (Sugarco, Milano, 2013), mi è tornato in mente subito l’episodio che mesi fa ha sorpreso tutti i mass media e gli “opinionisti”: l’esorcismo effettuato da papa Francesco dopo la Messa di Pentecoste.

Si sia trattato o no di esorcismo, o di qualsiasi altra preghiera, quello che ho notato è stato il rigetto dell’evento da parte dell’opinione pubblica. Il rifiuto del papa esorcista mi è subito sembrato conseguenza di due atteggiamenti diffusi nella nostra epoca: 1) Accettazione del male come qualcosa di inevitabile che è originariamente nelle cose. Tale teoria esclude l’esistenza del demonio, perché è un essere personale che tramite libera e consapevole scelta ha definitivamente rifiutato Dio; 2) Rifiuto di qualsiasi autorità.

Il Papa, o meglio, la Chiesa quale autorità avrebbe per liberare l’uomo dal male? Nel libro di don Cantoni viene spiegato proprio l’atteggiamento cristiano verso il problema del male, del peccato e degli angeli ribelli. Per la Bibbia l’origine del male non è in Dio.

Narrandoci la creazione, il libro della Genesi insiste che ciò che viene creato, è “cosa buona”. L’uomo fa il male perché si lascia tentare. Ma chi lo tenta? Dio ha creato gli angeli, esseri puramente spirituali, ma alcuni di questi, nonostante sapessero la drammatica conseguenza del loro gesto, hanno rifiutato Dio. In che consiste questo rifiuto? Ossia il rifiuto della grazia di Dio, “il raggiungimento del fine soprannaturale con le sole forze della natura” (Cantoni, pag. 35).

È realizzare se stessi con le sole nostre forze, come se fossimo dei, come se ci fossimo fatti da soli. Ecco chi è il serpente che tenta l’uomo: un angelo che si vuol fare simile a Dio con le sue sole forze. Ma questo “è lo stesso peccato che Satana suggerisce all’uomo: la similitudine con Dio non accettata come dono, ma ottenuta con un proprio sforzo non sottomesso all’azione di Dio”.

Questo ragionamento del voler fare tutto da soli, assomiglia a quello di coloro che vedono nella Chiesa una imposizione esterna, una istituzione inutile alla salvezza, qualcosa che sa imporre solo regole ma non c’entra nulla con la ricerca di Dio. In realtà, come ha detto il Papa nell’Udienza Generale del 29 maggio 2013, la parola ekklesia significa convocazione e infatti, per sua iniziativa, tramite la Chiesa, «Dio ci convoca, ci spinge ad uscire dall’individualismo, dalla tendenza a chiudersi in se stessi e ci chiama a far parte della sua famiglia».

Infatti “Dio ci ha creati perché viviamo in una relazione di profonda amicizia con Lui, e anche quando il peccato ha rotto questa relazione con Lui, con gli altri e con il creato, Dio non ci ha abbandonati. Tutta la storia della salvezza è la storia di Dio che cerca l’uomo, gli offre il suo amore, lo accoglie”.

Viene da chiedersi, perciò, come fa a conoscere Gesù chi dice di poter far a meno della Tradizione e del Magistero della Chiesa? Negare la Chiesa non è presumere di poter alla fine salvarsi da soli? Non è chiudersi in se stessi e compiacersi “della propria perfezione e bellezza senza aprirsi a ciò che la supera”, come il più luminoso di tutti gli angeli (Cantoni, ibid.)?

Purtroppo oggi questa mentalità è diffusa, tanto che anche l’amore per il prossimo è talvolta concepito come uno specchio: io amo l’altro per piacere, perché mi fa stare bene. È sempre l’io il protagonista dell’amore. Gesù invece nel Getsemani ha scelto per amore di sottomettersi alla volontà del Padre fino alla morte in croce. Come ricorda il papa «la linfa vitale è l’amore di Dio che si concretizza nell’amare Lui e gli altri, tutti, senza distinzioni e misura. La Chiesa è famiglia in cui si ama e si è amati».

Un amore quindi non ripiegato nell’io, ma il dono completo di se stessi. Il peccato non è altro che il rifiuto di questo amore. Per orgoglio l’uomo non vuole vincoli, vuole realizzarsi da solo. Ma questo comporta il rimanere a terra, rimanere schiavi di mille tentazioni. L’uomo rifiuta di adorare Dio, ma sceglie di adorare un’infinità di idoli.

Qui si compie la scelta, una scelta che si riflette nell’eternità: il filosofo Fabrice Hadjadj, parlando della resurrezione dei corpi, afferma che tale nuova vita dipenderà direttamente dall’amore di Dio che, come una fiamma rianimerà i corpi. Allora “il giusto che visse come innamorato del mistero se ne rallegrerà come da una amplesso dell’Eterno fino alla radice del corpo”, mentre l’ingiusto, che “visse raggomitolato su se stesso […] questo supremo amplesso amoroso lo sentirà come uno stupro senza fine” (La mistica della carne, Medusa, 2009).

Nell’eternità o bruceremo mortalmente per amore di noi stessi, o bruceremo di vera vita per amore di Dio. Il primo passo, perciò, è riconoscersi umilmente peccatori, e in questo modo aprirci all’amore di Dio, perché, una volta riconosciutisi peccatori abbiamo, dice il Papa, un luogo dove rifugiarci: la Chiesa, tramite il sacramento della confessione. Infatti «Quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona. Non dimenticatelo: Dio sempre perdona e ci riceve nel suo amore di perdono e di misericordia».

Fonte: Zenit, 25 Gennaio 2014

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